Esistono tre fasi storiche del diritto del lavoro:

legislazione sociale, in cui la materia del lavoro è formata da leggi che si presentano come eccezionali rispetto al diritto privato,

incorporazione del diritto di lavoro nel diritto privato

costituzionalizzazione del diritto del lavoro, i cui princìpi sono garantiti dalla Costituzione.

La legislazione sociale si sviluppa dopo il 1750, con la rivoluzioni industriale, e prevede norme eccezionali rispetto al diritto privato.

Il Codice Civile del 1865 non prevedeva una disciplina del contratto di lavoro, ma solo quella della “locazione delle opere e dei servizi”, e sanciva il divieto di stipulare contratti di lavoro a vita, per evitare il ritorno alla servitù, mentre ammetteva che la locazione fosse a tempo determinato o a impresa, cioè fino al compimento dell’opera.

La regolamentazione del lavoro industriale, invece, non era prevista dalla legge, ma era lasciata all’autonomia privata, in conseguenza del liberalismo. ( Da ricordare che all’epoca, sia in Francia che in Inghilterra erano vietate le coalizioni o organizzazioni con fini di rivendicazione sindacale).

Durante il XIX secolo, però, lo Stato cominciò ad intervenire dappertutto in Europa e decadono in Inghilterra i divieti prima accennati. Nel 1824, infatti, si ha la prima legge sindacale. Il sindacato scopre la sua funzione di resistenza economica, determinando più eque condizioni salariali e promuove azioni atte a rivendicare leggi a favore dei lavoratori.

Alla fine del XIX secolo, si sviluppano disposizioni, in deroga al Codice Civile (diritto comune), per la tutela del lavoratore quale contraente più debole (c.d. “legislazione sociale”). In Italia i primi interventi furono sulla tutela dei fanciulli e delle donne, a cui seguirono leggi sull’assicurazione obbligatoria contro i rischi da lavoro, quelle sul riposo settimanale e festivo e quelle contro la disoccupazione involontaria. Si forma in tal modo la legislazione del lavoro, chiamata dalla giurisprudenza “legislazione di classe”, rivolta non alla disciplina del contratto di lavoro, bensì alla tutela di talune condizioni economiche-sociali ad esso concernente.

Al metodo legislativo si accompagnava il metodo contrattuale o dell’autotutela collettiva.

Si sviluppa la diffusione di contratti collettivi a livello esclusivamente locale e aziendale e si affermano regole che man mano assumono caratteristiche normative. Da ciò traggono rilevanza, nel diritto del lavoro, le consuetudini, in quanto applicazioni di accordi collettivi. In Italia lo sviluppo dei sindacati portò all’elaborazione della disciplina del contratto di lavoro operaio, specie in seguito all’istituzione dei Collegi dei Probiviri del 1893 (caratteristici del periodo liberale, erano istituiti con regio decreto e composti da un presidente magistrato e da rappresentanti degli industriali e degli operai in numero pari). Erano collegi con la funzione di regolare le controversie tra le parti sociali, che, tuttavia, si limitavano a conciliarle sulla base delle regole dettate dalla prassi (formazione extralegislativa del diritto del lavoro).

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