Il licenziamento deve essere comunicato “per iscritto”, a pena di inefficacia. La regola è divenuta di portata generale, essendo stata estesa a tutti i datori di lavoro, anche nell’ipotesi in cui il licenziamento riguardi i dirigenti, precedentemente esclusi. La forma orale, quindi, resta consentita soltanto nell’area residuale degli altri rapporti di lavoro, diversi da quello dirigenziale, in cui opera ancora il regime della libera recedibilità. La specificazione dei motivi deve essere contenuta nella stessa comunicazione di licenziamento, ma, pur essendo tale obbligo imposto anche esso a pena di inefficacia dell’atto, la sanzione applicabile è soltanto economica.

In ogni caso, la comunicazione del licenziamento, essendo questo un atto unilaterale recettizio, produce effetti solo dal momento in cui perviene a conoscenza del lavoratore che ne è destinatario. La giurisprudenza precisa che, nel caso di consegna a mani, il rifiuto del lavoratore di ricevere la comunicazione di licenziamento equivale all’avvenuta consegna; analogamente, nel caso di invio a mezzo del servizio postale, la comunicazione si presume conosciuta nel momento in cui perviene all’indirizzo del destinatario, salvo che questi provi l’impossibilità incolpevole di averne avuto notizia.

Più in generale, il datore di lavoro deve osservare forme e modalità di comunicazione che non compromettano l’onore del lavoratore, e, quindi, in particolare, deve evitare di dare alla notizia del licenziamento una pubblicità non necessaria; in caso contrario, il licenziamento, a prescindere dalla validità della sua giustificazione, può essere considerato ingiurioso e fonte di responsabilità risarcitoria. Per alcuni tipi di licenziamento, il datore di lavoro è tenuto ad osservare anche oneri di carattere procedurale. Prendiamo in considerazione il caso di licenziamento avente natura disciplinare, e il licenziamento per giustificato motivo oggettivo.

In entrambe le ipotesi, per impedire che la malattia del lavoratore insorta dopo l’avvio della procedura possa sospendere l’efficacia del licenziamento intimato al termine della procedura stessa, è stato previsto, di recente, che gli effetti del licenziamento retroagiscono al giorno in cui è stato comunicato l’avvio della procedura. L’efficacia del licenziamento resta sospesa soltanto ove, dopo l’avvio della procedura, si verifichi una delle ipotesi di sospensione del rapporto di lavoro previste a tutela della maternità e della paternità o una ipotesi di impedimento derivante da infortunio occorso sul lavoro.

Essendo un atto unilaterale recettizio, che produce i suoi effetti nel momento in cui viene a conoscenza del destinatario, il licenziamento non può essere revocato, in base ai principi del diritto comune, se non con il consenso del lavoratore. Per favorire, però, la ricostituzione spontanea del rapporto di lavoro, il legislatore ha dettato una disciplina speciale, in base alla quale il datore di lavoro può procedere alla revoca del licenziamento entro il termine di 15 giorni dalla comunicazione dell’atto con il quale il lavoratore esprima la sua volontà di impugnare il licenziamento intimatogli.

La revoca determina il ripristino del rapporto di lavoro (“senza soluzione di continuità”) come se questo non fosse mai stato interrotto. Cosicché, da un lato, il lavoratore ha diritto alla retribuzione maturata nel periodo non lavorato, e, d’altro lato, è escluso che egli possa ricorrere al giudice per chiedere la condanna del datore di lavoro alla reintegrazione e al risarcimento dei danni.

Fonti internazionali e europee riconoscono il principio che il licenziamento debba essere basato su un “valido motivo”. Nei rapporti di lavoro a tempo indeterminato, il licenziamento può avvenire esclusivamente “per giusta causa” o “per giustificato motivo”. Per quanto riguarda la nozione di giusta causa, è stato fatto riferimento all’articolo 2119 del Codice civile. Va ricordato, quindi, che per giusta causa si intende “una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria del rapporto”, così da legittimare il licenziamento senza preavviso.

Invece, il giustificato motivo è stato individuato dall’articolo 3 della legge 604 del 1966, facendo riferimento a motivi di natura soggettiva e oggettiva. Il giustificato motivo soggettivo è costituito da un “notevole inadempimento degli obblighi contrattuali del prestatore di lavoro”, ossia da un inadempimento valutato in senso accentuativo rispetto al requisito della “non scarsa importanza”. Il giustificato motivo oggettivo, è invece costituito da “ragioni inerenti all’attività produttiva, all’organizzazione del lavoro e al regolare funzionamento di essa”.

In ogni caso, incombe sul datore di lavoro l’onere di provare la sussistenza della giusta causa o del giustificato motivo di licenziamento. Anche l’obbligo della giustificazione causale è stato esteso a tutti i datori di lavoro, anche non imprenditori. I dirigenti sono esclusi dall’applicazione delle disposizioni di legge che limitano il potere di licenziamento, ma i contratti collettivi stipulati per la loro categoria prevedono una tutela di natura economica in caso di licenziamento ingiustificato.

 

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