Il contratto di lavoro può avere ad oggetto anche lo svolgimento di attività di studio e ricerca finalizzate direttamente, o indirettamente, al perseguimento di un risultato inventivo. Nella maggior parte dei casi, però, le invenzioni industriali non sono esclusivamente il frutto dell’ingegnosa applicazione di un singolo individuo, essendo realizzate in virtù di continue sperimentazioni e applicazioni affidate a complesse èquipes. Èquipes che, sempre nella maggior parte dei casi, operano nei laboratori di grandi strutture, dove singoli scienziati e tecnici possono avvalersi, oltre che di collaboratori altamente specializzati, dei mezzi tecnologici e finanziari necessari per lo svolgimento della loro attività.
Il legislatore, quindi, pur sancendo il diritto del lavoratore di essere riconosciuto “autore” dell’invenzione, ha dettato una specifica disciplina dei diritti patrimoniali che derivano dall’invenzione stessa, così da tenere conto della avvenuta realizzazione di essa nell’ambito del rapporto di lavoro. Il principio generale è che al datore di lavoro, in quanto titolare dell’organizzazione che si presume abbia avuto una efficacia determinate nella realizzazione del risultato inventivo, spettano i diritti di utilizzazione economica tutte le volte in cui l’invenzione sia “fatta nell’esecuzione o nell’adempimento di un contratto o rapporto di lavoro o di impiego”.
Al lavoratore, invece, può essere riconosciuto il diritto (patrimoniale) ad un “equo premio”, ove l’attività inventiva non sia prevista come oggetto del contratto di lavoro e non sia “a tale scopo retribuita”. In sostanza, viene operata una distinzione tra due ipotesi: da un lato, l’ipotesi della invenzione detta “di servizio”, nella quale al lavoratore non spetta un compenso aggiuntivo perché l’invenzione costituisce adempimento dell’obbligazione derivante dal contratto di lavoro già specificamente retribuita; dall’altro, l’ipotesi della invenzione detta “di azienda”, nella quale il perseguimento del risultato inventivo non rientra nell’oggetto dell’attività dovuta dal lavoratore e non ha dato luogo ad una “esplicita previsione contrattuale di una speciale retribuzione volta a compensare l’attività inventiva”.
In questa seconda ipotesi, quindi, spetta al lavoratore un “equo premio” (in aggiunta alla retribuzione contrattuale), che, peraltro, è determinato tenendo conto non solo dell’importanza dell’invenzione, delle mansioni svolte e della retribuzione percepita dal lavoratore, ma anche del “contributo” che, nella realizzazione del risultato inventivo, è stato fornito dall’organizzazione del datore di lavoro. Dalle invenzioni “di servizio” e “di azienda” deve essere tenuta distinta l’ipotesi della invenzione cd. “occasionale”, che si realizza quando l’attività intellettuale che conduce il lavoratore al risultato inventivo non rientra nelle sue mansioni.
In tale ipotesi, i diritti di utilizzazione economica spettano al lavoratore; tuttavia, ove l’invenzione rientri nel campo di attività del datore di lavoro, il legislatore attribuisce a quest’ultimo un diritto di opzione e, cioè, il diritto di acquistare tutte o alcune delle facoltà altrimenti spettanti all’inventore, dietro pagamento di un canone o di un prezzo, dai quali deve essere dedotta “una somma corrispondente agli aiuti che l’inventore abbia comunque ricevuti dal datore di lavoro per pervenire all’invenzione”.