Le operazioni della s.p.a. sulle proprie azioni, in particolare la loro sottoscrizione e compravendita, sono particolarmente pericolose sotto più profili. Pericolose per l’integrità del capitale, potendo dar luogo all’elusione dell’obbligo di conferimento o del divieto di restituzione anticipata dei conferimenti eseguiti. Pericolose per il mercato dei titoli, potendo dar luogo a manovre speculative volte ad alterare le quotazioni delle azioni. Per questi motivi le operazioni della società sulle proprie azioni sono in principio vietate, sia pure con alcuni temperamenti. Questa linea, fissata dal codice del 1942 è stata rafforzata dal d.p.r. 30/1986 e ribadita dalla riforma del 2003.

Attualmente sono regolate: sottoscrizione, acquisto delle proprie azioni ed altre operazioni sulle stesse. Il divieto di sottoscrivere proprie azioni ha carattere assoluto e soffre una sola parziale deroga, per l’esercizio del diritto di opzione sulle azioni proprie detenute dalla società. Il divieto opera in sede di costituzione della società e in sede di aumento del capitale sociale. Colpisce la sottoscrizione diretta, compiuta in nome della società e la sottoscrizione indiretta, compiuta da terzi in nome proprio ma per conto della società.

L’autosottoscrizione darebbe luogo ad un incremento del capitale sociale nominale senza alcun incremento del capitale reale, dato che la società diventerebbe creditrice di se stessa per i conferimenti dovuti. La sanzione per la violazione di tale divieto è piuttosto singolare. Non si ha nullità della sottoscrizione, ma le azioni si intendono sottoscritte e devono essere liberate dai soggetti che materialmente hanno violato il divieto.

Nel caso di sottoscrizione diretta, le azioni si intendono sottoscritte e devono essere liberate dai promotori e dai soci fondatori o, in caso di aumento del capitale sociale, dagli amministratori.

Nel caso di sottoscrizione indiretta, invece è il terzo che ha sottoscritto le azioni, in nome proprio ma per conto della società, che è considerato a tutti gli effetti sottoscrittore per conto proprio. Inoltre, della liberazione delle azioni rispondono, solidamente col terzo, anche i promotori e i soci fondatori ovvero, in caso di aumento del capitale sociale, gli amministratori della società, salvo che tali soggetti non dimostrino di essere esenti da colpa.

Meno rigido è l’atteggiamento del legislatore per quanto riguarda l’acquisto da parte della società delle azioni proprie. Operazione che può dar luogo ad una riduzione del capitale reale senza l’osservanza della relativa disciplina e per di più attuata senza riduzione del capitale sociale nominale. Quindi, se una società con capitale sociale nominale di 1000 ed un capitale reale (patrimonio netto) di 1000, impiega somme per 1000 nell’acquisto di proprie azioni, essa non fa altro che rimborsare ai soci il valore delle azioni. Il capitale sociale nominale resta sempre invariato (1000), ma il capitale reale si è ridotto a zero in quanto rappresentato ormai solo da pezzi di carta: le azioni proprie in portafoglio, il cui valore reale è zero, in quanto integralmente rimborsato. È evidente il pericolo per i creditori sociali.

Queste conseguenze, non si verificano quando nell’acquisto vengono impiegate somme corrispondenti agli utili o ad altre eccedenze del bilancio disponibili. Queste somme, infatti, possono essere liberamente distribuite ai soci e perciò possono essere impiegate dalla società anche nell’acquisto di azioni proprie. Da qui l’atteggiamento meno drastico del legislatore.

L’operazione è consentita, ma la società deve rispettare 4 condizioni.

  • Le somme impiegate nell’acquisto non possono eccedere l’ammontare degli utili distribuibili e delle riserve disponibili risultanti dall’ultimo bilancio approvato.
  • Le azioni da acquistare devono essere interamente liberate.
  • L’acquisto deve essere autorizzato dall’assemblea ordinaria. La delibera deve fissare le modalità di acquisto, l’ammontare massimo delle azioni da acquistare e la durata non superiore a 18 mesi per la quale l’autorizzazione è accordata.
  • Il valore nominale delle azioni acquistate non può eccedere la decima parte del capitale sociale, tenuto conto anche delle azioni possedute da società controllate.

Le azioni acquistate violando queste condizioni devono essere vendute entro un anno dal loro acquisto. In mancanza si procede al loro annullamento ed alla corrispondente riduzione del capitale sociale. La disciplina esposta si applica anche quando la società procede all’acquisto di azioni proprie per tramite di società fiduciaria o per interposta persona.

Sono previsti però alcuni casi speciali di acquisto. Nessuna limitazione è applicabile quando l’acquisto avviene in esecuzione di una delibera assembleare di riduzione del capitale sociale, da attuarsi mediante riscatto ed annullamento di azioni. Infatti, in questo caso, l’acquisto di azioni proprie costituisce una semplice modalità di attuazione di una riduzione palese del capitale sociale, con rimborso dei conferimenti ai soci.

I diritti sociali relativi alle azioni proprie sono infatti sterilizzati. Il diritto di voto e gli altri diritti amministrativi sono sospesi. Le azioni proprie sono tuttavia computate nel capitale ai fini del calcolo del quorum costitutivo e deliberativo dell’assemblea. Il diritto agli utili e il diritto di opzione spettano proporzionalmente alle altre azioni.

Con la riforma del 2003 quest’ultimo divieto è stato temperato: l’assemblea può infatti autorizzare l’esercizio totale o parziale del diritto di opzione. Infine gli amministratori non possono disporre delle azioni senza la preventiva autorizzazione dell’assemblea, la quale dovrà stabilire anche le relative modalità. Alla società è vietato di concedere prestiti o fornire garanzie di qualsiasi tipo a favore dei soci o di terzi per la sottoscrizione o l’acquisto di azioni proprie. La società non può accettare azioni proprie in garanzia. I relativi contratti di garanzia o di finanziamento sono nulli.

 

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