{La l. 262/2005 detta “Disposizioni per la tutela del risparmio e la disciplina dei mercati finanziari”.

L’11 l. 262/2005 inserisce nel d. lgs. 58/1998 (Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria) un 100-bis (Circolazione dei prodotti finanziari), il quale al comma I prevede che nei casi di sollecitazione all’investimento gli investitori professionali, fermo restando quanto previsto ai sensi dell’articolo 21 [Criteri generali], rispondono della solvenza dell’emittente nei confronti degli acquirenti che non siano investitori professionali, per la durata di un anno dall’emissione.

Ciò è avvenuto secondo un modello già introdotto, ma senza il limite annale, dal 2412 (Limiti all’emissione), comma II.

Purtroppo questa garanzia minimale viene esclusa, e la tutela del risparmiatore ulteriormente edulcorata, dalla previsione dello stesso 100-bis, al comma II, secondo il quale Il comma 1 non si applica se l’intermediario consegna un documento informativo contenente le informazioni stabilite dalla CONSOB […].

Il 14 l. 262/2005 aggiunge al 21.1 d. lgs. 58/1998 la previsione secondo la quale i soggetti abilitati alla prestazione di servizi di investimento classificano il grado di rischiosità dei prodotti finanziari e rispettano il principio dell’adeguatezza fra le operazioni consigliate e il profilo di ciascun cliente sulla base della sua esperienza, situazione finanziaria e propensione al rischio.

Sempre il 14 l. 262/2005 sostituisce il 114.8 d. lgs. 58/1998, prevedendo per i soggetti che forniscono informazioni funzionali a strategie di investimento l’obbligo di presentare l’informazione in modo corretto e comunicare l’esistenza di ogni loro interesse o conflitto di interessi riguardo agli strumenti finanziari cui l’informazione si riferisce}.

Sul terreno della responsabilità da informazioni non veritiere si situa la responsabilità del professionista per i danni cagionati a taluno di riflesso dall’attività di prestazione svolta in favore di altri.

Abbiamo visto che i danni subiti da un terzo nell’ipotesi appena descritta possono conseguire dalla lesione di una situazione soggettiva, come l’integrità fisica da parte del medico che opera nella struttura ospedaliera alla quale si sia rivolto il paziente.

Questa qualificazione del fatto (lesione di situazione soggettiva) lascia poco margine alle incertezze circa la risarcibilità, trattandosi piuttosto di vedere se quest’ultima vada risolta in contratto od in torto.

La questione che ora affrontiamo invece riguarda le ipotesi di danno meramente patrimoniale.

In esse la mancanza di una situazione soggettiva, insieme alla qualità di terzo del danneggiato, rendono doppiamente problematica l’affermazione di responsabilità del professionista.

La fattispecie è analoga a quella dei danni meramente patrimoniali cagionati da un prodotto quando non esista rapporto contrattuale tra produttore e danneggiato, con riguardo alla quale si è data nei vari ordinamenti risposta negativa in considerazione del fatto che, alla mancanza di un rapporto ex contractu tra i soggetti, si unisce l’assenza della lesione di una situazione soggettiva.

In ipotesi come quelle esaminate (qualità di terzo del danneggiato ed assenza della lesione di una situazione soggettiva), occorre un requisito positivo, che sia in grado di giustificare la responsabilità.

Così in common law si è fatto ricorso alla proximity, o special relationship, espressiva della vicinanza che caratterizzi la posizione del terzo rispetto al soggetto responsabile, una vicinanza che faccia pensare alla relazione ex contractu, come accade nelle situazioni in cui, “se non mancasse la consideration, vi sarebbe un contratto” (lo dice Lord Devlin in Hedley Byrne & Co. Ltd. v. Heller & Partners Ltd).

Peraltro dopo affermazioni come questa, dell’inizio degli anni ‘60, la giurisprudenza inglese della fine degli anni ‘80 sembrava aver mutato tendenza, limitando molto l’apertura verso la risarcibilità dell’economic loss.

Una delle decisioni che hanno segnato tale inversione di tendenza riguarda i danni subiti da terzi che si sono affidati a dati ed informazioni forniti non ad essi, ma di cui si sono ugualmente avvalsi perché pubblici.

In Caparo Industries plc v. Dickman and others, fidandosi delle risultanze di un’analisi di bilancio negligentemente non veritiera condotta da una società di revisione, l’attrice, già azionista di minoranza della società certificata, aveva acquistato oltre il 90% delle partecipazioni, ad un prezzo rivelatosi troppo alto.

Riformando la sentenza della Court of Appeal, che aveva distinto tra azionisti attuali (tra i quali si trovava l’attrice) ed azionisti solo potenziali, concludendo in favore dell’attrice, la House of Lords ha respinto la domanda, sentenziando che la società di revisione è obbligata solo nei confronti della società certificata, non nei confronti dei soci, né dei terzi.

I giudici inglesi pervennero così ad una decisione simile a quella di un celebre caso statunitense nel quale era stato concesso un prestito ad un’impresa, sulla fiducia nei risultati di bilancio, attestati e certificati da un contabile, dai quali emergeva la solvibilità dell’impresa stessa.

{Il celebre caso statunitense è l’Ultramares v. Touche, Niven & Co. (1931).

In Ultramares lo stesso Benjamin Nathan Cardozo, padre della responsabilità del produttore negli Stati Uniti, menziona la responsabilità del produttore come materia di elezione nella quale si è già verificato il superamento della relatività contrattuale (privity), ma rileva che essa si incentra su una lesione all’integrità fisica della persona o delle cose, mentre nel caso in questione (Ultramares) “ci si chiede di affermare che alla stessa stregua una responsabilità si possa ricondurre alla circolazione del pensiero od alla liberazione del potere esplosivo inerente alle parole”}.

Ora come allora, la considerazione di politica del diritto soggiacente alla decisione è quella di evitare un possibile dilagare della responsabilità “per un ammontare indeterminato per un tempo indeterminato e nei confronti di una classe indeterminata” di possibili danneggiati (Benjamin Nathan Cardozo).

La conclusione può dirsi sinteticamente così: no privity, no proximity, ovvero ai fini della tutela diventa rilevante solo la posizione di chi sia controparte di un contratto stipulato col soggetto autore della condotta dannosa.

Qualche anno più tardi, però, la House of Lords ha ripreso l’atteggiamento favorevole alla risarcibilità del danno meramente patrimoniale nel caso White v. Jones, sulla base di una special relationship fondata su una assumption of responsibility come in Hedley Byrne.

In White v. Jones, però, essendo la classe dei danneggiati costituita dai beneficiari (delusi) di una disposizione testamentaria, ed essendo perciò limitata, non presentava l’inconveniente della classe indeterminata temuta in Caparo e in Ultramares.

Perciò in situazioni di quest’ultimo tipo una visione più aderente alla varietà delle situazioni avrebbe potuto condurre a soluzioni differenziate: ad es., per riferirci a Caparo, distinguendo secondo che l’investitore sia terzo tout court od invece colui in vista della cui informazione, funzionale ad ulteriori comportamenti nei confronti della società, sia stata svolta la revisione contabile.

{La distinzione tra azionisti attuali e potenziali era il criterio adottato in Caparo dalla Court of Appeal per affermare nei confronti dei primi e negare nei confronti dei secondi la responsabilità del revisore}.

Un tale criterio di differenziazione si giustifica anche in relazione all’ordinamento italiano.

Il 164 (Responsabilità) d. lgs. 58/1998 (TUF), prevede al I comma che Alla società di revisione si applicano le disposizioni dell’articolo 2407 [Responsabilità] del codice civile (il nuovo 2407.1, adottato dal d. lgs. 6/2003 di riforma del diritto delle società, ha sostituito alla precedente dizione “con la diligenza del mandatario” “con la professionalità e la diligenza richiesta dalla natura dell’incarico”).

Il 164.2 t.u.f. prevede, in solido con la società di revisione, la responsabilità dei responsabili (sic!) della revisione e dei dipendenti che hanno effettuato l’attività di revisione contabile, per i danni conseguenti da propri inadempimenti o da fatti illeciti nei confronti della società che ha conferito l’incarico e nei confronti dei terzi danneggiati.

{Secondo Grazia Monia Buta quella della società di revisione sarebbe un’obbligazione di mezzi, e, come i fatti illeciti, comporterebbe che a provare la colpa sia il danneggiato.

Ma ormai la distinzione tra obbligazioni di risultato ed obbligazioni di mezzi, secondo l’insegnamento di Luigi Mengoni, è stata rigettata da Cass. S.U. 15781/2005.

Questo segna una svolta anche per il caso della responsabilità da revisione, poiché relativamente ad essa emerge ciò che Luigi Mengoni ha messo in chiaro: cioè che un risultato è sempre intrinseco all’obbligazione, mentre non è predeterminabile quale sia il limite della pretesa creditoria.

Il 1218 (Responsabilità del debitore) del resto non consente di distinguere tra specie di obbligazioni, onde è il debitore a dover provare di aver adempiuto o di esserne stato impossibilitato per causa a lui non imputabile.

Peraltro, in termini sostanziali, quando stanno di fronte un soggetto qualunque ed un soggetto professionale, si comprende come la ripartizione della prova debba scontare la maggior facilità che ha a fornirla colui che sta addentro alle cose di cui è questione.

In merito va ricordato l’orientamento, ormai accolto dalla Cassazione (11316/2003), secondo il quale in ordine alla distribuzione dell’onere della prova, fermi i principi, si va sempre più accentuando la considerazione della “vicinanza della prova”, consentendo un più frequente ricorso alle presunzioni tutte le volte che la prova non possa esser data per un comportamento ascrivibile alla stessa parte contro la quale il fatto da provare avrebbe potuto essere invocato}.

La distinzione tra inadempimenti e fatti illeciti sembra voler mettere in evidenza la diversa natura della responsabilità secondo che il danno riguardi la società soggetta alla revisione o soggetti diversi, terzi danneggiati secondo la lettera della legge: rispettivamente una responsabilità per inadempimento ed una responsabilità da fatto illecito.

Questo significa che per il nostro ordinamento non sussiste limitazione alla tutela di terzi che abbiano subìto danno in seguito ad una certificazione fuorviante.

Anzi, la previsione del 164 d. lgs. 58/1998 ha la funzione di rendere risarcibile in sede aquiliana un danno meramente patrimoniale che altrimenti come tale non lo sarebbe {il 2043, prevedendo l’ingiustizia come qualificazione del danno, esige che esso sia conseguenza della lesione di una situazione giuridica soggettiva, la qual cosa non accade in caso di danno meramente patrimoniale}.

Piuttosto, nei confronti dei terzi l’affermazione di una responsabilità extracontrattuale della società di revisione potrebbe andare incontro all’obiezione di mancanza del nesso causale, perché un investimento dannoso che traesse pure spunto da una certificazione che crea illusione dovrebbe scontare la scelta di investire nella società soggetta a revisione e perciò un medio causale tra la certificazione pur falsa ed il danno subìto dall’investitore.

{Partendo da un altro punto di vista, possiamo dire che la difficoltà consiste nel fatto che le condotte che inducono all’investimento sbagliato furono fatte rilevare originariamente nei rapporti precontrattuali e trovarono soluzione nella disciplina dei vizi della volontà e della responsabilità precontrattuale.

Questo può spiegare ad es. perché il primo approdo della responsabilità da prospetto sia stata proprio la responsabilità precontrattuale.

Questo spiega altresì perché ai fini dell’accertamento della responsabilità si sia preso a prestito proprio da tale modello.

Così è per il criterio che viene proposto per la responsabilità da prospetto.

Secondo Guido Ferrarini nell’esperire l’azione di responsabilità gli investitori devono provare che non avrebbero acquistato o venduto i valori mobiliari alle condizioni pattuite se avessero conosciuto esattamente le circostanze che, invece, sono state rappresentate loro in modo inveritiero od ingannevole, o sono state loro taciute.

In verità, a voler essere coerenti con l’affermata natura contrattuale della responsabilità precontrattuale, non sono gli investitori a dover fornire tale prova, ma gli autori del prospetto a dover provare che l’informazione fuorviante non ha inciso sull’esito dell’investimento.

Detta prova, poi, non attiene alla causalità del fatto, di cui non è questione perché trattandosi di inadempimento il danno ha natura meramente patrimoniale, onde non si verifica un evento rispetto al quale accertare la causa nei termini del 40 c.p. (Rapporto di causalità).

La questione verte invece sulla causalità cosiddetta giuridica, disciplinata dal 1223 c.c. (Risarcimento del danno), nei termini se il danno degli investitori sia conseguenza immediata e diretta della violazione degli obblighi di informazione da parte degli autori del prospetto}.

Ma l’obiezione causale non pare possa trovare luogo in riguardo di perdite puramente patrimoniali nelle quali difetta un evento in senso naturalistico, con riguardo al quale soltanto può instaurarsi un nesso con una condotta {cfr. gli artt. 40 c.p. (Rapporto di causalità) e 41 c.p. (Concorso di cause)}.

In ogni caso qui è la legge a superare l’ostacolo, nel momento in cui parla di fatti illeciti subiti da terzi danneggiati.

Si tratta di un’eccezione alla regola del 2043: nonostante la carenza di una situazione soggettiva violata e la mancanza della relatività (la quale relatività porterebbe alla responsabilità contrattuale), la legge rende eccezionalmente rilevante un fatto generatore di danno, qualificandolo illecito.

La natura eccezionale di questa responsabilità per danni meramente patrimoniali rende inaccoglibile, alla luce del 14 disp. l. gen. (Applicazione delle leggi penali ed eccezionali), l’applicazione del 164 (Responsabilità) d. lgs. 58/1998 al di fuori dei casi ai quali la disciplina della revisione deve ritenersi applicabile: quelli nei quali il controllo contabile e la certificazione riguardano società quotate in borsa o nei mercati regolamentati o per le quali la legge espressamente ne preveda l’obbligatorietà.

{Con riferimento alla disciplina contenuta nel d.p.r. 136/1975, Cass. 10403/2002 ha affermato l’applicabilità del 12 (Responsabilità civile: Le persone che hanno sottoscritto la relazione di certificazione e i dipendenti che abbiano effettuato le operazioni di controllo contabile, sono responsabili, in solido con la società di revisione, per i danni conseguenti da propri inadempimenti o fatti illeciti nei confronti della società assoggettata a revisione e dei terzi; articolo abrogato dal d. lgs. 58/1998) ai casi di revisione non obbligatoria, sull’assunto che tale norma non sarebbe nient’altro che la specificazione dell’obbligo di neminem laedere, posto in generale dal 2043 (Risarcimento per fatto illecito), il che si rivela funzionale all’affermazione successiva, secondo la quale dovendosi escludere che la responsabilità prevista dal 12 (Responsabilità civile) sia di carattere meramente oggettivo, deve ritenersi che la norma implicitamente rinvii al 2043}.

Ma il 164 (Responsabilità) d. lgs. 58/1998 parla di responsabilità per inadempimenti, ed il parallelo testuale che abbiamo rivenuto nella norma fa pensare subito al danno subìto dalla stessa società.

Tra la società ed i terzi in senso proprio però stanno dei soggetti che, diversamente dalla società, non sono i committenti del servizio di revisione, onde nei loro confronti non si può parlare propriamente di “inadempimenti”, e diversamente dai terzi per così dire generici possono essere soggetti determinati in vista del cui investimento nella società o della concessione di credito a quest’ultima la revisione può esser condotta.

In questa ipotesi la funzione specifica della società di revisione e lo status professionale dei soggetti che hanno presieduto od hanno svolto materialmente l’attività di revisione mettono capo ad una responsabilità di natura contrattuale: lo status professionale dei soggetti indicati giustifica un affidamento, la cui lesione genera una responsabilità di tale natura, nonostante la mancanza di contratto.

Si tratta della responsabilità da violazione di obblighi di correttezza e di protezione che la buona fede genera in seguito a quell’affidamento che sottrae i terzi ad una generica estraneità.

Tale ipotesi può verificarsi tanto più facilmente nei casi in cui la revisione-certificazione non è richiesta dalla legge, come accade per le società non quotate in borsa, ma viene disposta dagli organi della società su richiesta di terzi, possibili investitori, o comunque nell’intento di attrarne l’attenzione investitoria.

Alla luce di quanto abbiamo detto ora, risulta onerata di gravi dubbi l’affermazione di Cass. 10403/2002, che dà per scontata l’applicazione diretta delle regole contenute nel d.p.r. 136/1975, che per primo disciplinò la materia, proprio in un caso di revisione contabile non obbligatoria, affermando la responsabilità aquiliana della società di revisione nei confronti di un soggetto, fidatosi delle risultanze confortanti di una certificazione oggettivamente fuorviante.

Da un lato, infatti, poiché la disciplina era già dettata con riferimento ai casi di revisione obbligatoria, prevista solo per le società quotate in borsa, ne era preclusa l’applicazione diretta al caso considerato, mentre l’applicazione analogica non poteva riguardare il 12 (Responsabilità civile) d.p.r. 136/1975 a causa della natura eccezionale della disposizione {Marcello Maggiolo invece non ritiene eccezionale la norma; il problema è ora superato dal nuovo 2409-sexies, rubricato “Responsabilità”, il quale così recita: I soggetti incaricati del controllo contabile sono sottoposti alle disposizioni dell’articolo 2407 e sono responsabili nei confronti della società, dei soci e dei terzi per i danni derivanti dall’inadempimento ai loro doveri.     Nel caso di società di revisione i soggetti che hanno effettuato il controllo contabile sono responsabili in solido con la società medesima.    L’azione si prescrive nel termine di cinque anni dalla cessazione dell’incarico}.

Dall’altro, la responsabilità avrebbe dovuto essere affermata in via contrattuale, poiché l’incarico della revisione era stato affidato da promittenti compratori che, in vista del contratto definitivo, intendevano accertare l’effettivo stato patrimoniale di una società loro promessa in vendita.

{In base alla disciplina contenuta a suo tempo nel d.p.r. 136/1975, secondo Massimo Santaroni la responsabilità extracontrattuale del revisore nei confronti di terzi investitori ingannati da un risultato di revisione erroneo o comunque fallace si sarebbe fondata sul combinato disposto del 12 (Responsabilità civile) d.p.r. 136/1975 e del 2043 (Risarcimento per fatto illecito): ciò sull’assunto che la norma speciale non avrebbe contemplato un’ipotesi autonoma di responsabilità.

In realtà la norma speciale rappresenta un superamento della norma generale in materia di fatti illeciti, nel momento in cui rende risarcibile un danno meramente patrimoniale di per sé non rientrante nel sintagma “danno ingiusto” e perciò ex 2043 non risarcibile.

Ora Cass. 10403/2002 da un lato sembra riconoscere che la responsabilità verso i terzi, prevista dal menzionato art. 12, estende l’àmbito della tutela, apprestata dall’art. 2043 c.c., ma poi conclude che “la stessa responsabilità è globalmente e unitariamente disciplinata dall’art. 2043 c.c. e dalla legislazione speciale”}.

In un caso del genere, mentre la responsabilità dei preposti e dei dipendenti trova ancora una volta radice nella violazione dell’affidamento fondato sullo status professionale, quella della società di revisione è contrattuale per l’inadempimento dell’obbligo di prestazione assunto mediante il contratto.

{Invece Eugenio Barcellona attribuisce natura contrattuale alla responsabilità dei revisori, riputandola derivare da un ipotetico contratto a favore di terzi indeterminati.

Ciò mi pare una contraddizione in termini sotto il profilo della indeterminatezza (il 1411 (Contratto a favore di terzi) significativamente fa parola di “stipulazione a favore di un terzo”), e per quanto riguarda il contratto a favore di terzi, ipotizza in capo a questi ultimi un diritto alla prestazione che in effetti non c’è, perché detti terzi non hanno alcun potere o pretesa di adempimento nei confronti dei revisori}.

La recente riforma del diritto delle società (d. lgs. 6/2003) ha introdotto la nuova disciplina dei revisori.

In particolare essa non riguarda più soltanto le società di revisione ma pure i revisori contabili persone fisiche, iscritti con tale qualifica in un registro istituito presso il Ministero della giustizia (2409-bis).

Relativamente alla responsabilità, il nuovo 2409-sexies, comma III, prevede che L’azione [per il risarcimento del danno] si prescrive nel termine di cinque anni dalla cessazione dell’incarico.

Quanto alla regola di responsabilità, essa ora è prevista per “i soggetti incaricati del controllo contabile” (revisori e società di revisione) in termini più sintetici, ma per questo meno precisi, “nei confronti della società, dei soci e dei terzi per i danni derivanti dall’inadempimento ai loro doveri”.

Invero mettere in un’unica norma responsabilità che sono necessariamente di varia natura in funzione dell’esserci o no di un rapporto obbligatorio, il quale a sua volta può essere con o senza obbligo di prestazione, manifesta una tecnica grossolana: basti pensare alla diversità di oneri probatori in ciascuna delle specie disciplinate.

Se la regola è una, sempre diverso rimane il titolo, secondo che si tratti di terzi generici (investitori senz’altra qualificazione), di terzi specifici (gente in vista del cui investimento la revisione è operata, creditori della società) o della stessa società.

Nei confronti dei terzi specifici e della società, la responsabilità è di natura contrattuale, per violazione degli obblighi di buona fede generati dall’affidamento e, rispettivamente, per vero e proprio inadempimento (dell’obbligo di prestazione).

Nei confronti dei terzi generici, invece, la responsabilità è extracontrattuale.

 

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