Come l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni servì ad evitare un approdo possibile alla responsabilità oggettiva, l’assicurazione obbligatoria della responsabilità da circolazione sembra svuotare la stessa responsabilità civile alla quale accede.

Certo l’assicurazione prevede dei massimali, superati i quali la responsabilità riacquista piena ed esclusiva signoria anche sotto il profilo dell’obbligazione risarcitoria, ma un ruolo che già in questi termini si connota come residuale sembra indicare la resa definitiva della responsabilità civile.

Quest’ultima in combinazione con l’assicurazione subirebbe una “perversione sfigurante” (sir Basil Markesinis); mentre sul terreno della rilevazione sociale un assicuratore che paga in luogo dell’autore del fatto dannoso finirebbe col distruggere la consapevolezza della negatività che il danno rappresenta per la società (Nicola Di Prisco).

Le obiezioni appena riferite hanno mordente fin quando s’identifichi la responsabilità con l’illecito civile dannoso e dunque con la colpa.

Laddove invece si ponga mente che la circolazione di autoveicoli è la fonte di un danno che, considerato nel suo insieme, non risulta evitabile e si presenta come endemico della società contemporanea, ci si avvede come la stessa responsabilità, ove diventi oggettiva ed imputi i costi alla circolazione come tale, non risulti molto distante dal modello assicurativo.

Nell’assicurazione della responsabilità civile, per la formula stessa che la caratterizza, la responsabilità è presupposto dell’assicurazione e perciò, altro che essere privata di senso, è essenziale.

Nell’assicurazione contro i danni la responsabilità è solo rimossa dal piano del ristoro del danneggiato, ma non da quello dell’allocazione del costo del danno, come risulta in primo luogo dalla coniugazione dell’assicurazione con la surroga dell’assicuratore.

Un appunto si deve muovere alla l. 990/1969: quello di aver innestato l’assicurazione relativa alla circolazione di veicoli sul tronco di una responsabilità civile ancora poggiata sul requisito della colpa: con la conseguenza di un’alternativa problematica nella quale o una serie di danni resta priva di ristoro, oppure si stravolge la categoria della colpa.

Colui che affermasse il rispetto rigoroso del modello della colpa si troverebbe subito a fronteggiare una duplice obiezione: che da un lato la prassi giurisprudenziale sembra disposta ad adulterare un diritto scritto avvertito ormai come obsoleto; dall’altro che il movimento sempre più consistente verso modelli di ristoro del danno esenti dalla colpa segnala che l’aporìa va superata nel senso opposto, socializzando sempre più il costo del danno.

Forse che questo significa accedere all’idea di un’assicurazione sociale per gli infortuni automobilistici la quale preveda un indennizzo per il danno alla persona (tralasciando il danno alle cose) in quanto ed esclusivamente in quanto coinvolta in un incidente stradale?

Un’idea del genere contrasterebbe con quella propria di assicurazione sociale, che sembra caratterizzata dall’indifferenza per la fonte del danno, ed unicamente preoccupata dell’effetto lesivo da ristorare.

In questi termini non è corretto parlare dell’assicurazione contro gli infortuni sul lavoro come forma di assicurazione sociale.

Se la nostra società rilutta all’idea di socializzare completamente i costi da infortuni sul lavoro, in quanto si reputa più giusto imputare tali costi all’attività alla quale gli infortuni sono direttamente connessi, allora la generale socializzazione dei danni da incidenti stradali appare ancora meno giustificata in termini comparativi.

 

Richiedi gli appunti aggiornati
* Campi obbligatori

Lascia un commento