Se è così, il nostro 2058 (Risarcimento in forma specifica) si rivela la regola più equilibrata che si possa dettare in materia.

Il legislatore ha condotto la reintegrazione in forma specifica al livello della realtà nei rapporti giuridici, nel prevedere al 2058.1 che Il danneggiato può chiedere la reintegrazione in forma specifica quando questa sia possibile, ed aggiungendo al comma II il potere del giudice di evitarla quando essa risulti eccessivamente onerosa.

Stando al livello della realtà nei rapporti giuridici, non ha senso porsi il problema se la riparazione in natura sia più nobile del risarcimento per equivalente {Adolfo di Majo si pronuncia nel senso che presupposto delle due forme risarcitorie è in ogni caso il danno}, ma si tratta piuttosto di appurare nel caso concreto qual sia la misura più conveniente, nel bilanciamento degli interessi tra l’autore dell’illecito ed il danneggiato, per ristorare il danno.

Questo aspetto va sottolineato particolarmente in un momento nel quale le misure giuridiche o tecniche di tutela cosiddetta specifica vengono enfatizzate.

Non è possibile teorizzare una sorta di linea continua che nel segno della qualifica “in natura” o “in forma specifica” associ le tecniche restitutorie e l’esecuzione ed il risarcimento.

Andrea Proto Pisani propone una summa divisio tra una tutela specifica “diretta a fare conseguire al titolare del diritto quelle stesse utilità garantitegli dalla legge (o dal contratto)” ed una tutela risarcitoria “diretta a fare conseguire al titolare del diritto non la stessa utilità […] ma solo utilità equivalenti”.

In verità, mentre le misure di tutela specifica sono volte a dare attuazione ad una situazione soggettiva quando essa non si sia realizzata (esecuzione) o quando si tratti di restaurarla in seguito ad una lesione che la riguardi sotto il profilo della disponibilità (restituzione), il risarcimento, in quanto tutela contro l’illecito come lesione della situazione soggettiva sotto i profili dell’oggetto, non è misura di attuazione di un diritto bensì reazione alla lesione rilevata, onde la specificità che pur possa caratterizzarlo non è mai mera restaurazione della situazione lesa ma contiene alcunché di aggiuntivo atto a distinguerlo dalle forme meramente ripristinatorie.

La fattispecie del 2043 (Risarcimento per fatto illecito) chiarisce come l’obbligazione risarcitoria origini da un danno ingiusto (e cioè dalla lesione di una situazione soggettiva rilevante) imputabile, ed abbia come oggetto la diminuzione patrimoniale che ai sensi del 1223 (Risarcimento del danno) ne sia conseguenza immediata e diretta.

Analogamente deve dirsi per l’illecito contrattuale o inadempimento.

Nell’uno e nell’altro campo della responsabilità civile, come precisa sempre il 1223, l’obbligazione risarcitoria comprende così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno.

Da ciò risulta la differenza strutturale e la diversità di funzione che il risarcimento assume rispetto alle forme meramente ripristinatorie ed a quelle di attuazione coattiva dei diritti.

Non si tratta cioè di reagire alla lesione subita per restaurare il patrimonio nello stato quo ante, ma di porlo nella stessa consistenza quantomeno quantitativa – ed ecco il risarcimento per equivalente – ed ove sia possibile qualitativa – e questa è la funzione del risarcimento in forma specifica – che esso avrebbe attinta ove non si fosse verificato l’illecito o l’inadempimento.

L’idea che il risarcimento in forma specifica possa essere accostato alle altre forme di riparazione in natura si rivela improcedibile.

 

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