Nell’assicurazione e nella responsabilità civile il rapporto obbligatorio nasce rispettivamente da un comportamento rispettoso dell’ordinamento giuridico quale è il contratto, e da un comportamento che porta ab origine lo stigma dell’antigiuridicità.
Anche a voler far perno sul danno, si mette ulteriormente in luce un radicale diverso collocarsi di esso, che nella responsabilità civile costituisce il prius solo in quanto si realizzi come fatto, laddove è la pura prospettazione di esso quale probabilità di un evento che dà vita all’assicurazione come contratto.
Il danno nel diritto italiano si atteggia nei due istituti in termini giuridico-formali diversi, che sembrano giustificare la distanza tra due discipline da sempre pensate in chiave divaricata.
Per il nostro ordinamento, l’originale connotazione del danno quale presupposto oggettivo della responsabilità, costituita dalla “ingiustizia” che ai sensi del 2043 (Risarcimento per fatto illecito) necessariamente lo connota, indica la necessità della lesione di una situazione giuridicamente rilevante, di un potere o di un dovere, onde ai fini della responsabilità non è sufficiente il mero danno.
Tale profilo spiega perché in Italia e negli ordinamenti continentali assicurazione e responsabilità sia sul piano normativo che su quello dell’analisi scientifica abbiano seguito strade separate.
{La segregazione del danno all’interno dell’obbligazione di risarcimento nel senso della Differenztheorie fornisce ragione ulteriore alla divaricazione rilevata nel testo: ciò vale in particolare per l’esperienza francese, nonostante che il Code faccia nascere la responsabilità dal danno senza alcuna qualificazione.
Il danno non è una condizione dell’illecito, scrive René Demogue (1872 – 04.03.1938), rifacendosi a Gian Pietro Chironi, ma piuttosto una condizione dell’obbligazione risarcitoria: affermazione di per sé non corretta – perché la perdita patrimoniale in cui sfocia la lesione fa già parte della fattispecie di responsabilità – e tuttavia sintomatica di come la responsabilità civile sia stata letta come ipotesi qualificata di illecito prima che come obbligazione risarcitoria.
Che il danno non sia sufficiente come tale a giustificare la responsabilità emerge anche nell’esperienza francese quando si fa riferimento alla categoria dell’intérêt juridiquement protégé, la cui lesione costituirebbe presupposto di rilevanza del danno}.
Invece negli ordinamenti di common law, ove la categoria “danno” ha una dimensione puramente materiale, è stata coltivata una prospettiva che in chiave funzionale mette in evidenza i punti di raccordo tra i due istituti.
Proprio la prospettiva funzionale infine ha consentito di mettere in luce come la pur diversa efficacia giuridica che caratterizza il danno assicurato e il danno risarcibile possa esser colta quale modalità alternativa di risoluzione di un unico problema: quello del danno.
{L’alternativa funzionale di responsabilità civile ed assicurazione (che non ne esclude una combinazione strutturale) è da tempo del tutto chiara alla letteratura scandinava: è espressa, per es., da Ivar Strahl}.
Sul finire del secolo scorso Victor Mataja afferma che l’assicurazione obbligatoria non tenta un’impossibile mediazione tra responsabilità per colpa e responsabilità oggettiva, e rispetto a quest’ultima presenta l’ulteriore beneficio di non far gravare l’intero costo del danno sulla singola impresa ma sull’industria nel suo complesso o sul singolo comparto merceologico.
Se deve trattarsi di effetto distributivo, tanto vale conseguirlo con l’assicurazione, la quale in maniera più diffusa e perciò meno costosa è in grado di garantire il ristoro del danno.