La disciplina tributaria del reddito d’impresa è fondata su 5 principi generali:

A) Principio di derivazione, in virtù del quale il reddito d’impresa si determina apportando all’utile o alla perdita risultante dal conto economico, relativo all’esercizio chiuso nel periodo d’imposta, le variazioni in aumento o in diminuzione conseguenti all’applicazione dei criteri stabili dalla legge. Detto questo è evidente la divergenza tra il reddito civile (risultato del conto economico) e il reddito fiscale (il reddito risultante dall’apporto delle variazioni in aumento o in diminuzione al risultato del conto economico);

B) Principio di non tassatività, che è una conseguenza diretta del principio di derivazione. Questo principio comporta che alla determinazione del reddito d’impresa possono concorrere anche elementi positivi e negativi diversi da quelli espressamente previsti dalle norme tributarie, se incidono sui risultati del conto economico;

C) Principio di competenza, il quale comporta l’imputazione degli elementi reddituali positivi e negativi al periodo d’imposta in cui si verificano le vicende gestionali dalle quali essi scaturiscono, anche se non si sono ancora verificati i conseguenti movimenti finanziari attivi e passivi. In poche parole, a differenza di quanto avviene con il principio di cassa, gli elementi positivi del reddito vanno imputati all’anno in cui è sorto il diritto alla loro percezione (anche se le somme non sono state incassate), e quelli negativi all’anno in cui è sorto l’obbligo di pagamento (anche se le somme non sono state pagate);

D) Principio di inerenza, che riguarda il rapporto che deve esistere tra le componenti passive e quelle attive del reddito d’impresa, ai fini della deducibilità delle prime dalle seconde. Questo principio sta alla base di diverse regole, tra cui ricordiamo le norme che escludono la deducibilità dei costi e delle spese riconducibili a fatti qualificabili come reato;

E) Principio di imputazione, che riguarda la rilevanza fiscale attribuibile all’imputazione (o non imputazione) degli elementi reddituali (sia positivi che negativi) nel conto economico. In merito, la legge dispone che i ricavi, gli altri proventi di ogni genere e le rimanenze concorrono a formare il reddito, anche se non risultano imputati al conto economico; inoltre la legge dispone che le spese e gli altri componenti negativi non sono ammessi in deduzione se non risultano imputati al conto economico. Quest’ultima disposizione ha è stata oggetto di diverse discussioni e critiche, in quanto potrebbe costituire fonte di inquinamento del bilancio civile in tutti i casi in cui le norme tributarie (per finalità agevolative) consentono deduzioni maggiori rispetto a quelle civilisticamente effettuabili nel conto economico. Un esempio tipico era rappresentato dall’originaria disciplina dell’ammortamento anticipato. Esso consisteva nella possibilità di dedurre fiscalmente (nei primi anni di utilizzo dei beni strumentali) quote di ammortamento maggiori di quelle corrispondenti all’effettiva usura dei beni; e proprio quest’ultime saranno imputate nel conto economico.

Per conciliare le finalità perseguite dalle norme civili e da quelle tributaria, si sono cercate diverse soluzioni. In particolar modo, la disciplina vigente prevede che, ai fini della deducibilità delle componenti passive, la condizione dell’imputazione al conto economico non opera:

• Per le spese e gli altri componenti negativi risultanti dal conto economico di un esercizio precedente, se la deduzione è stata rinviata secondo quanto previsto dalle norme tributarie;

• Per le spese e gli altri componenti negativi che, pur non essendo non imputabili al conto economico, sono deducibili per legge.

Richiedi gli appunti aggiornati
* Campi obbligatori

Lascia un commento