Da Augusto il potere discrezionale del magistrato è svuotato dei caratteri politici e l’editto è sempre più rivestito di una tecnicità di fatto sottratta al controllo dello stesso pretore e il giurista opera come diretto innovatore (sia del diritto sostanziale sia nell’utilizzazione degli schemi processuali e nel loro adattamento specie perchè legittimato dallo stesso Principe).

Da quest’epoca unico interlocutore del giurista nella formulazione del ius sarà l’Imperatore (le cui pronunce normative costituiscono il nuovo limite “esterno” all’interpretatio ma non incidono significativamente sulle tecniche d’argomentazione e costruzione casistica del sistema proprie della scientia iuris). In questo contesto l’aequitas è un criterio tecnico che permette di introdurre soluzioni innovative coerentemente con il diritto previgente.

1)Quando l’aequitas “impone” l’applicazione analogica di una norma legislativa/edittale, l’operazione interpretativa non presenta particolari difficoltà in quanto è la ratio equitativa della stessa norma che è usata per risolvere fattispecie “simili” come es. l’applicazione analogica dell’editto “De incendio…”.

2) Se invece la soluzione individuata dal giurista come giusta non possa esser ricondotta agli strumenti di tutela già posti, anzi venga a contrastare con la loro applicazione rigorosa, l’aequitas soccorre come clausola generale che permette l’integrazione e correzione del ius in attuazione della ratio dell’ordinamento.

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