L’approfondimento della questione della causalità nell’ambito di un ordinamento normativo significa non solo affrontare questioni di carattere logico-naturalistico ma anche questioni di imputazione cioè riferibilità di un fatto ad una persona sulla base di specifiche finalità perseguite dai vari rami dell’ordinamento. Il tentativo di individuazione della legge di causazione ha portato a 2 ipotesi tra loro contrapposte: da una parte la considerazione del rapporto di causalità come uno schema logico utile a ricostruire il processo di sviluppo della realtà o una forma mentale che condiziona il nostro modo di essere e d’altra parte la considerazione del rapporto di causalità come un dato ontologico, inerente alla stessa struttura del reale. Sul piano giuridico porre un problema di causalità vuol dire ricercare il valore operativo dell’affermazione secondo cui una condotta è stata causa di un certo risultato. La dottrina imposta il problema come questione di accertamento causale snodata in 2 momenti: il primo logico-naturalistico consistente nella verificazione del valore della condizione della condotta rispetto all’evento, il secondo consistente nell’imputazione (valutazione del rapporto logico-naturalistico di causalità tra condotta ed evento alla stregua delle finalità specifiche dell’ord giur).

Cause remote e cause prossime. Risposta a una tipica domanda di imputazione è la tesi secondo cui al diritto non interessano le cause remote, ma solo quelle prossime. Le cause remote hanno un legame con l’evento, ma si esclude che l’ordinamento giuridico per realizzare i suoi fini possa concentrarsi su situazioni molto lontane nel tempo rispetto alla verificazione dell’evento. Questa tesi rispecchia la vita di una società scarsamente sviluppata, ma in un mondo tecnologicamente evoluto la responsabilità può esser attribuita anche sulla base di condotte distanti cronologicamente dall’evento (esempio macchina che esplode uccidendo gli operai vicino ad essa: la costruzione della macchina difettosa è remota, ma sussiste una esigenza d’imputazione dell’evento alla condotta).

Causa efficiente. Un’altra tesi è quella secondo cui la condotta umana è da considerarsi causa quando è causa efficiente dell’evento, cioè ha prodotto e dato forma all’evento (esempio: se una persona da lo zucchero a un diabetico lo ammazza. Questo criterio è messo in crisi ogni volta in cui il risultato è determinato non da condotta umana ma da condizioni di altro tipo (esempio crolla la diga per la pioggia. Lo spessore delle paratie inferiore è nell’ottica della causa efficiente una mera occasione che concorre a produrre il disastro: non si può negare la responsabilità dei progettisti). Per Gallo a conclusione del genere si può pervenire ed è giusto: infatti il criterio funziona solo quando tra le varie cause quella che mette in moto il processo è l’azione umana quindi la causa efficiente è l’azione umana e le occasioni sono mere circostanze di fatto: ma quando si dimostra che queste ultime possono esser anche azioni umane, il castello cade.

Struttura logico-naturalistica della causalità. Si può abbandonare il finalismo dell’imputazione per concentrare l’attenzione sulla struttura logico-naturalistica della causalità. Bisogna partire dal fatto che è inesatto parlare di causa con riferimento a un singolo fattore (esaminando un processo tra A e B per cercare di cogliere le regole logiche per cui B è conseguenza di A, ci rendiamo conto che B è dovuto a fattori che chiamiamo condizionanti). L’insieme di queste condizioni nella loro totalità appare dotato delle note della necessarietà/sufficienza in ordine alla produzione dell’evento, mentre i singoli fattori individualmente considerati sono solo condizioni necessarie ma non sufficienti. Quindi nessuno può porre in essere la causa nel suo contenuto globale, per l’impossibilità di realizzare tutte le condizioni che la costituiscono. Se la condotta umana risponde alle logiche di accertamento causale, essa è una delle condizioni. Se ogni condizione è equivalente in quanto tutte necessarie a produrre un evento, si dice che ci deve esser una condizione necessaria dell’evento tale che sopprimendola viene meno l’evento stesso.

La conditio sine qua non. Per questa teoria dettata da dottrina/giurisprudenza l’operatore giuridico penale deve ritenere causa rilevante quella condizione necessaria all’evento consistente nella condotta di un uomo: quindi la conclusione è che l’accertamento del nesso di causalità si esaurisce nell’accertamento che la condotta umana sia conditio sine qua non dell’evento. Si porrebbe quindi un superamento delle distinzioni tra causa e imputazione, ponendo accento sull’equivalenza di ogni condizione. I primi rilievi su essa si limitano a riferirsi alle esigenze proprie della disciplina penale: questo criterio condurrebbe sovente a conclusioni che non potrebbero esser accolte sul piano teleologico, ai fini dell’ordinamento. In pratica responsabilità penale anche quando la coscienza etico-sociale non la ravvisa. A difesa di questo criterio è stato detto che esso porterebbe a un’estensione eccessiva della responsabilità penale solo se questa conseguisse puramente alla causazione obiettiva di un certo risultato. Per la funzione di correttivo che l’elemento psicologico riveste per limitare la responsabilità, la teoria che si avvale di questo criterio prende il nome di “teoria soggettiva della causalità”. Questa precisazione relativa alla limitazione dell’estensione della responsabilità per la presenza di un requisito di carattere soggettivo non varrebbe per le figure criminose in cui l’evento è posto a carico del soggetto agente indipendentemente dalla presenza di dolo e colpa. Si potrebbe pensare di far leva sui casi di responsabilità oggettiva per criticare questa teoria: esempio tipico parrebbe quello dell’omicidio preterintenzionale. Se si si ritiene che l’evento morte sia accollato semplicemente sulla base del rapporto causale tra condotta volta a ledere ed esito letale si dovrebbe concludere che risponde al delitto anche chi tira uno schiaffo, la vittima ha fragilità delle vene, e muore. Ma non avrebbe senso ciò.

Responsabilità oggettiva e prevenzione generale. La responsabilità oggettiva risponde a una ratio di prevenzione generale. La regola dell’omicidio preterintenzionale (nella parte in cui è comando) per cui non si deve ledere, è completata dall’avvertimento che se lo fai e ammazzi, la responsabilità ricade sull’agente indipendentemente dalla sua minima colpa. Quindi letta sotto questa lente questo omicidio risponde alla logica di una prevenzione generale che conti della grande frequenza di delitti vs la persona che si possono considerare lievi. Quindi questa norma ha funzione preventiva, proprio perché adotta strutture a responsabilità rigidamente obiettiva, non temperata da alcun correttivo. C’è però un limite che non si giustifica all’interno della fattispecie a responsabilità oggettiva: esso è posto dal principio costituzionale ex 27 1° Costituzione sulla natura personale della responsabilità penale. Essa, essendo elemento costitutivo di ogni fattispecie di reato, porta la conseguenza che quel tanto di insopportabilmente duro, che discenderebbe dalla applicazione della condizionalità sine qua non, è evitato dalla rilevanza, sul piano soggettivo, del requisito della prevedibilità, elemento essenziale per ogni figura criminosa il cui fatto non sia per intero oggetto del dolo. Ma questo art 27 enuncia il requisito dell’imputazione soggettiva che è l’estremo limite dell’area di responsabilità: non c’è responsabilità se manca prevedibilità, mentre sarebbe diverso se si potesse dedurre da essa che anche nei casi in cui il fatto è voluto la responsabilità viene meno se l’evento concreto vietato dalla legge non fosse prevedibile. A ciò per Gallo non si può giungere.

Necessità di arricchire il criterio della conditio sine qua non. Questo criterio va superato in virtù dell’analisi di comportamenti in cui è fuori discussione tanto la qualità di conditio sine qua non della condotta quanto la natura dolosa dell’intero fatto. Esempio: Tizio con intento omicida ferisce leggermente Caio che poi è vittima di un incidente fortuito verificatosi nell’ospedale dove è andato. Applicando l’equivalenza causale delle condizioni, dovremmo affermare la responsabilità di Tizio a titolo di omicidio doloso consumato. Ma per evitare ciò si inserisce sullo schema logico-naturalistico della conditio il requisito dell’adeguatezza o della proporzione della condotta rispetto all’evento: quindi se la condotta non appare nella sua materialità proporzionata al tipo di risultato che da essa discende, il rapporto di causalità rilevante per il diritto viene a mancare.

La causalità adeguata (dottrina tedesca). Esso pone 2 diversi ordini di problemi: della sua utilizzabilità per risolver i casi concreti che si presentano nell’applicazione giudiziaria e in secondo luogo ammessa la sua idoneità operativa, quello dell’esistenza di un fondamento normativo che ne permetta la formulazione nei termini di un istituto di diritto positivo. In questo criterio vengono ricompresi in unità i momenti della causalità e imputazione. Nel primo momento di indagine si accerta con il criterio della conditio il carattere di condizione necessaria della condotta, per poi risolvere il problema di imputazione della condotta associando il requisito della condizione necessaria a quello della adeguatezza. Vs questo criterio si è detto che si aprirebbero per i rei tante possibilità di sfuggire ai rigori della legge con la dimostrazione della mancanza di adeguatezza tra condotta ed evento. Ma per Gallo è un rischio puramente immaginario in quanto l’adeguatezza è utilizzata già normativamente per determinare i contenuti degli altri istituti di diritto penale senza che la sua applicazione comporti possibilità di sfuggire alla potestà punitiva. Una critica più fondata rivolta al criterio dell’adeguatezza è quella che si appunta su un momento che segna il passaggio dall’utilizzabilità pratica del criterio al piano della sua rilevanza normativa: per questa critica, adottare il criterio di causalità adeguata comporta diversa valutazione del rapporto di causalità per reati colposi (condurrebbe a risultati apprezzabili ed equi) e dolosi (applicazione iniqua quando l’agente speculasse sull’anomalia della forma di realizzazione del reato). Critica non accettabile per Gallo: il confronto tra condotta ed evento necessario per fondare una relazione di proporzione va fatto in concreto contando su ambo i termini della relazione. Il criterio dell’adeguatezza è allora utilizzabile sul piano pratico, vediamo su quello normativo.

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