Ci si domanda ora se il requisito del dolo sia o no la coscienza del disvalore del fatto posto in essere. Questa domanda è stata affrontata generalmente su un piano d’indagine che, prescindendo dalla regolamentazione effettiva, ha posto le relative domande come se discendessero dalla natura stessa della norma nonché da un concetto di dolo che si potrebbe dire “prenormativo”. In questo senso si innesta il pensiero di chi ritiene esistenti certe esigenze che fanno si che nell’ambito del diritto penale il dolo non si esaurisca nella semplice consapevolezza del fatto tipico, ma vada arricchito di un momento ulteriore esprimente la sua natura essenziale (esempio: dolo è volontà cattiva e così si distingue dalla colpa che è leggerezza). In pratica un ordine di idee così omette di indicare la regola di diritto in base a cui si arriva a certe conclusioni. C’è poi un ragionamento più complesso che dalla immediata suggestione della identificazione della forma della norma giuridica in quella di un comando, conclude che non si può ammettere la necessità logica della conoscenza del comando. Ciò porterebbe a dover affrontare la discussione sulla cosiddetta “natura imperativa del diritto”: qui ci si limita a coglierne il momento più grave che si verifica quando si vuol conciliare necessità logica della conoscenza della norma con il disposto del 5. Le difficoltà non si superano affermando che l’ordinamento si limita a sancire una presunzione di conoscenza lasciando per il resto inalterata la realtà delle cose così il 5 sarebbe norma di carattere processuale diretta al giudice a cui verrebbe fatto divieto di indagare sulla consapevolezza o no da parte dell’agente del disvalore penale del comportamento. Se si pensa al dovere di applicare la legge incriminatrice ignorata, perchè la “necessità logica” si mostri nella sua natura di ideale di giustizia ma non di elemento senza cui il dolo viene a mancare. non paiono poi convincenti le argomentazioni volte ad evitare che la tesi si riduca a un asserto ideologico usando ad esempio norme relative a capacità di intendere/volere, l’1 per cui nessuno può esser punito da un reato non previsto da legge. per Gallo da queste considerazioni non si prova che la norma penale è un imperativo, piuttosto il legislatore si è preoccupato di assicurare i modi per cui possa funzionare come tale: per ciò serve la possibilità che sia conosciuta. Quando questa esigenza è adempiuta l’ordinamento considera applicabile la legge sia che il soggetto abbia avuto o non consapevolezza di andare vs la legge stessa (ciò si sovrappone al 5).

Da ciò si deduce che il problema se decidere se nel dolo rientri o meno la consapevolezza di realizzare un fatto antigiuridico è un problema relativo a un certo sistema positivo, e non un problema di teoria generale. Il problema sarà quindi quello di inquadrare in una cornice più vasta il principio della inescusabilità dell’ignorantia iuris. Questo problema però si elude nel momento che la consapevolezza dell’antigiuridicità della condotta è questione che riguarda l’imputabilità (propria di soggetto capace di intendere/volere) e non il dolo. Ma la domanda rimarrà ancora senza risposta in quanto ci sarà sempre un soggetto imputabile quindi che conosce la legge che nel caso concreto abbia però agito privo di tale conoscenza. Bisogna capire come il sistema riesca a proiettare l’antigiuridicità nella coscienza del soggetto.

Negativo (in quanto non supera l’ostacolo creato dalla inescusabilità dell’ignorantia iuris) sarà anche il discorso quando si prova ad ancorare la illiceità giuridico-positiva (la cui rappresentazione farebbe parte della struttura del dolo) alla norma penale considerata in un suo momento particolare (e non nella sua interezza). Anche se è dimostrata corretta la distinzione tra momento valutativo e determinativo della norma penale, dall’interpretazione del 5 però bisognerebbe tener presente il primo di tali momenti cioè quello in cui un certo fatto è valutato contro l’ordinamento penale.

C’è poi l’opinione per cui requisito del dolo sarebbe la consapevolezza di una illiceità giuridico-positiva, non penale. Se si potesse dimostrare che ogni fatto di reato pone in essere la violazione di una norma non penale si sarebbe fatto un passo in avanti verso la individuazione di un criterio che non solleverebbe problemi verso il 5. Ora l’analisi del nostro ordinamento positivo conduce a riconoscere che molti reati pongono in essere la trasgressione di una norma antecedente a quella penale già fornita di vera e propria sanzione giuridica: in questi casi la realizzazione di un fatto conforme a figura tipica di reato autorizza chi vede minacciato per effetto di simile condotta, a impedirne la commissione. Ma solo quando si pone in pericolo una situazione di diritto soggettivo in senso stretto si può però ravvisare nella fattispecie criminosa un momento di antigiuridicità obbiettiva (rispetto a cui la norma penale è un solo indizio) che da vita a quel pericolo di offesa ingiusta ex 52. Da ciò si può individuare un criterio di valutazione giuridica alla stregua di cui diventa possibile qualificare ingiusto il comportamento che realizza l’aspetto obiettivo di una fattispecie criminosa (quindi chi agisce con dolo (minando un diritto soggettivo o obiettivamente protetto) dovrebbe rappresentarsi il disvalore derivante dall’impedibilità del fatto che realizza, non valendo ciò quando si lede un interesse legittimo). Questo distinguo è arbitrario: ma non interessa tanto questo, quanto piuttosto il problema di dover dimostrare che esiste una norma per cui bisogna riconoscere che il dolo comprende la rappresentazione di tale nucleo di antigiuridicità obiettiva. In questo caso si potrebbe evocare il 47 ultimo comma che disciplina l’errore su legge diversa da quello penale: il ragionamento però sta e cade a seconda che l’errore di cui ci occupiamo coincida o no con quello oggetto del 47 3°. Ma l’errore sull’ingiustizia del fatto di reato cade sul valore dell’intero fatto obiettivo conforme al tipo descrittivo delineato dalla legge, riferendosi la situazione a quella dell’errore su legge integratrice di norma penale in bianco (e a ciò il 47 non può applicarsi).

C’è l’ultimo gruppo di opinioni secondo cui la norma della cui violazione chi agisce dolosamente deve esser cosciente, non è solo non penale, ma non è neppure giuridica. Chi la pensa così parte dal presupposto che ordinamento giuridico e ordinamento etico coincidano. Ora non si potrà però per Gallo concepire l’immoralità come elemento costitutivo del dolo senza dare per scontato che ogni reato, per il suo essere illecito penale, realizza la trasgressione di una norma morale o di una regola di cui si può constatare che è caratteristica di una certa società.

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