Giurisdizioni extra ordinem.

La giurisdizione della <<riparazione degli abusi>> o mazalim si affiancò a quella del qadì sotto i califfi abbasidi. In principio i mazalim rappresentavano la semplice facoltà, spettante al sovrano, di esercitare la suprema giustizia. Solo successivamente acquistarono competenza specifica sui casi per i quali la giurisdizione del qadì appariva insufficiente, intervenendo per proteggere i deboli contro gli eccessi di potere da parte dello Stato e dei suoi funzionari.

Per quanto conforme allo spirito della shari’a, tale forma di giustizia fu ampiamente discrezionale, non ritrovandosene praticamente traccia nelle opere di fiqh. Nell’opinione pubblica islamica, tuttavia, il buon califfo doveva dedicare all’esercizio del mazalim molto del suo tempo.

Contemporaneamente all’istituzione dei tribunali di mazalim, si venne organizzando la hisba, con il cui termine si intendeva il dovere di ciascun musulmano di operare per l’affermazione del bene e per combattere la diffusione del male. Con lo sviluppo di tale giurisdizione, al muhtasib spettò una generale funzione di controllo della moralità.

Processo islamico.

I principi fondamentali del processo islamico sono:

  • l’impulso processuale spettante al giudice (processo inquisitorio), sempre in diritto contatto con le parti processuali: il giudizio si inizia di ufficio o mediante atto di citazione trasmetto alla controparte a cura del giudice;
  • l’uguaglianza delle parti processuali: l’attore e il convenuto devono comparire in giudizio personalmente oppure, qualora sia ammesso, per mezzo di un loro rappresentante. Si parla di da’wa tutte le volte che compaiono i tre soggetti del dibattimento (qadì, attore e convenuto);
  • lo scarso formalismo, la pubblicità, la prevalente oralità e la rapidità del giudizio.

Previo un tentativo di conciliazione da parte del giudice, vengono escusse le prove (confessione, giuramento e testimonianza), il cui onere spetta all’attore. Il giudice, qualora sia chiaro il risultato delle prove, deve pronunciare la sentenza (immotivata), la quale può essere orale o scritta. Tale sentenza è inappellabile, ma può essere soggetta a revisione da parte del giudice che l’ha emanata, non acquistando mai autorità di cosa giudicata.

Questo sistema è quasi completamente cambiato nel corso del XX secolo, data l’introduzione di meccanismi di appello, di sistemi collegiali (non monocratici), di codici di procedura e di leggi sui principi generali del processo regolanti anche la materia delle prove.

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