La disciplina degli atti di concorrenza sleale si applica alla figura di imprenditore. In realtà la nozione di imprenditore che vale non è quella dell’art 2082. Non è solamente colui che esercita professionalmente una attività economica organizzata. In particolare rientra nell’ambito soggettivo validi anche la figura del libero professionista: pur non essendo considerato dal nostro ordinamento come rientrante nella natura di imprenditore, di fatto è un soggetto che può compiere atti di concorrenza sleale. Rientrano anche gli enti pubblici non economici laddove svolgano attività economica; vi rientrano le società in liquidazione e le società dichiarate fallite.

Il rapporto di concorrenza deve sempre esistere. Vi è rapporto di concorrenza tra due imprenditori i quali pongono, offrono sullo stesso mercato beni o servizi che siano idonei a soddisfare uno stesso bisogno. Vi sono alcune considerazioni da fare sugli ambiti territoriali e soggettivi. È chiaro che ci deve essere uno stesso mercato, quindi il prodotto deve essere visto anche sotto il punto di vista della sua affermazione: tanto più è affermato il marchio tanto più ampio sarà l’ambito territoriale. È rilevante anche la considerazione per il singolo prodotto, deve essere idoneo a soddisfare quel bisogno o bisogni simili, poiché il rapporto di concorrenza è visto anche in potenzialità.

L’art 2598 è una norma di chiusura, perché il legislatore del ’42 sapeva che atti di concorrenza innominati si potessero presentare nel tempo ed era necessario chiuderli in una norma valutativa. È una norma però che porta dei problemi. questa norma contiene due criteri: gli atti devono essere contrari e idonei a ledere l’altrui attività. Come si intendono? Occorre chiarire che cosa si intende per correttezza: dove si trovano questi principi, c’è qualcosa di scritto? La dottrina e la giurisprudenza hanno provato a inserire e cercare degli usi del buon commerciante e non esistono delle raccolte in questo senso. Ha provato a dare anche una concezione moralistico/etica ma è molto aleatorio. Quello che è eticamente accettabile può non esserlo per il piccolo agricoltore diretto e invece si per la SpA. Allora si cerca di agganciare questo criterio a principi economici, l’art 41 Cost che disciplina la libertà di iniziativa economica. L’iniziativa economica è libere però deve essere esercitata nel principio dell’utilità sociale. Questo può essere un ottimo richiamo ma troppo generico e valutabile a seconda del periodo storico: quello che 50 anni fa era conforme oggi può non esserlo. Vanzetti- Di Cataldo propone che il principio di correttezza professionale sia agganciato all’etica del consumatore nel determinato contesto in cui avviene l’atto di concorrenza: però il consumatore non è esperto, non gli è richiesto di essere un soggetto che sa tutto. È difficile capire che cos’è contrario ai principi di concorrenza leale.

L’altro criterio è il principio di danneggiare l’altrui impresa. Anche qui si voleva dire qualcosa di più di ciò che è stato detto. Occorre vedere se questa affermazione sul mercato sia mantenuta entro i limiti conformi o invece sia particolarmente aggressiva, cioè se per affermarsi ricorre a dei comportamenti inaccettabili. Ci deve essere una idoneità maggiore rispetto a quanto comunemente inteso come atto di concorrenza sleale. Il comportamento non deve essere perfezionato, basta il tentativo. Basta l’idoneità.

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