La personificazione di un ente internazionale risponde ad un’esigenza di costruzione concettuale oltre che di amministrazione pratica perché consente di stabilire un punto unitario ed un criterio costante di riferimento nel complesso delle relazioni internazionali riconducibili alla Comunità.

Poiché le organizzazioni internazionali sorgono per effetto di accordi tra gli Stati, ci si potrebbe attendere che il problema della loro personalità internazionale venga regolato esaurientemente nei trattati istitutivi. La lettura di questi testi mostra invece una certa cautela, o per meglio dire una deliberata ambiguità sul punto. La formula più frequentemente seguita dispone infatti soltanto per quanto riguarda la personalità di diritto interno, quella che le o.i. attivano all’interno degli Stati (ad es. acquistando o prendendo in locazione un immobile, acquistando oggetti per svolgere la propria attività).

In questi anni, che hanno visto crescere in maniera cospicua il numero e l’attività delle organizzazioni internazionali, il problema della loro personalità si è posto con frequenza: più nel dibattito scientifico, tuttavia, che in sede pratica.

La personalità delle organizzazioni internazionali – a titolo proprio, e non in quanto organi comuni – è stata riconosciuta in due importanti pareri consultivi della Corte internazionale di giustizia (da ultimo ICJ, Reports, 1980, p. 73 e ss., par. 37): «L’organizzazione internazionale è un soggetto del diritto internazionale vincolato in quanto tale da tutte le obbligazioni che gli impongono le regole generali del diritto internazionale, il suo atto costitutivo e gli accordi internazionali di cui è parte».

Le loro relazioni internazionali che paiono inquadrarsi nella sfera regolata dal diritto internazionale sono quelle inerenti allo scambio di missioni diplomatiche ed alla conclusione ed esecuzione di trattati internazionali. Peraltro, bisogna tener presente che le relazioni diplomatiche delle organizzazioni internazionali vengono espressamente fondate su accordi nei quali vengono stabilite le modalità della missione ed il trattamento degli agenti scambiati; senza perciò che si applichino le norme internazionali generali sulle relazioni diplomatiche e senza che le organizzazioni internazionali abbiano uno ius legationis discendente dal diritto internazionale generale.

Vi è poi la conclusione di accordi internazionali: molti di questi sono previsti nei trattati istitutivi, altri non sono previsti ma sono considerati necessari affinché l’organizzazione possa conseguire i propri scopi (teoria dei necessarily implied powers o «poteri necessariamente presupposti»). Si tratta quindi di una personalità di tipo funzionale, perché si manifesta nell’ambito di settori limitati della vita di relazione internazionale.

Il Trattato CE prevede, in alcune materie, la conclusione di accordi internazionali da parte della Comunità. A questi accordi si riferisce l’art. 228 (ora 300) il cui testo è stato ampiamente modificato dal trattato di Maastricht e poi da quello di Amsterdam, tenendo conto del «parallellismo» creato con la giurisprudenza Kramer e AETS; nel senso, altresì, dei poteri di cooperazione del Parlamento.

Eccone il testo:

1. Quando le disposizioni del presente trattato prevedano la conclusione di accordi tra la Comunità e uno o più Stati ovvero un’organizzazione internazionale, la Commissione sottopone raccomandazioni al Consiglio, che la autorizza ad avviare i necessari negoziati. I negoziati sono condotti dalla Commissione, in consultazione con i comitati speciali designati dal Consiglio per assisterla in questo compito e nel quadro delle direttive che il Consiglio può impartirle.

Nell’esercizio delle competenze attribuitegli dal presente paragrafo, il Consiglio delibera a maggioranza qualificata, salvo nei casi in cui il primo comma del paragrafo 2 richiede l’unanimità.

  1. Fatte salve le competenze riconosciute alla Commissione in questo settore, la firma, eventualmente accompagnata da una decisione riguardante l’applicazione provvisoria prima dell’entrata in vigore, e la conclusione degli accordi sono decise dal Consiglio, che delibera a maggioranza qualificata su proposta della Commissione. Il Consiglio delibera all’unanimità quando l’accordo riguarda un settore per il quale è richiesta l’unanimità sul piano interno, nonché per gli accordi di cui all’articolo 310.

In deroga alle norme previste dal paragrafo 3, si applicano le stesse procedure alle decisioni volte a sospendere l’applicazione di un accordo e allo scopo di stabilire le posizioni da adottare a nome della Comunità in un organismo istituito da un accordo basato sull’articolo 310, se tale organismo deve adottare decisioni che hanno effetti giuridici, fatta eccezioni per le decisioni che integrano o modificano il quadro istituzionale dell’accordo.

Il Parlamento europeo è immediatamente e pienamente informato di qualsiasi decisione, adottata a norma del presente paragrafo, relativa all’applicazione provvisoria o alla sospensione di accordi, ovvero alla definizione della posizione della Comunità nell’ambito di un organismo istituito da un accordo basato sull’articolo 310.

3. Il Consiglio conclude gli accordi previa consultazione del Parlamento europeo, salvo per gli accordi di cui all’art. 133, paragrafo 3, inclusi i casi in cui l’accordo riguarda un settore per il quale è richiesta sul piano interno la procedura di cui all’art. 251 o quella di cui all’articolo 252. Il Parlamento europeo formula il suo parere nel termine che il Consiglio può fissare in funzione dell’urgenza. In mancanza di parere entro detto termine il Consiglio può deliberare.

In deroga al comma precedente, gli accordi di cui all’articolo 310, nonché gli altri accordi che creano un quadro istituzionale specifico organizzando procedure di cooperazione, gli accordi che hanno ripercussioni finanziarie considerevoli per la Comunità e gli accordi che implicano la modifica di un atto adottato secondo la procedura di cui all’articolo 251 sono conclusi previo parere conforme del Parlamento europeo.

In caso d’urgenza, il Consiglio e il Parlamento europeo possono concordare un termine per il parere conforme.

4. All’atto della conclusione di un accordo, il Consiglio, in deroga al paragrafo 2, può abilitare la Commissione ad approvare a nome della Comunità gli adattamenti di cui l’accordo in questione prevede l’adozione con una procedura semplificata o da parte di un organo istituito dall’accordo stesso, corredando eventualmente questa abilitazione di condizioni specifiche.

5. Quando il Consiglio prevede di concludere accordi che implicano emendamenti del presente trattato, questi ultimi devono essere precedentemente adottati secondo la procedura prevista nell’articolo 48 (già N) del Trattato sull’Unione europea.

6. Il Consiglio, la Commissione o uno Stato membro possono domandare il parere della Corte di giustizia circa la compatibilità di un accordo previsto con le disposizioni del presente trattato. Quando la Corte di giustizia abbia espresso parere negativo, l’accordo può entrare in vigore soltanto alle condizioni stabilite dall’articolo 48 (già N) del trattato sull’Unione europea (l’art. N prevede una procedura di emendamento sia per il Trattato CE che per quello di Maastricht: il significato del riferimento a questa norma è che per concludere un trattato con uno Stato terzo che si discosta dai trattati europei occorre modificare questi ultimi. Il caso, che si è già verificato con il Trattato sullo Spazio economico europeo, è del tutto analogo a quello che si pone per la ratifica di trattati che contengono norme contrarie alla costituzione italiana, come la Convenzione dell’ONU sul genocidio che fu ratificata con legge costituzionale: ciò avvalora il parallelismo fra trattato comunitario e costituzione nazionale).

Gli 7. nel presente articolo sono accordi conclusi alle condizioni indicate vincolanti per le istituzioni della Comunità e per gli Stati membri.

Ancorché preveda un vincolo diretto a carico degli Stati membri, non si può dire che la norma del n. 2 da sola conferisca alle Comunità la natura di soggetti internazionali tout court, potendosi essa interpretare come attribuzione alla Comunità di un ruolo di organo comune degli Stati membri: si avrebbero, adottando questa costruzione, degli atti che vengono imputati simultaneamente e distintamente a ciascuno Stato membro).

Pertanto, come avviene per le altre organizzazioni “universali” (tipo l’ONU), anche per le Comunità europee, entità prive di territorio e di popolazione e quindi escluse dall’applicazione delle norme concernenti la tutela internazionale del potere dello Stato, la personalità internazionale è un giudizio che deve emergere conclusivamente da un’indagine avente per oggetto non soltanto la conclusione di accordi ma anche il regime della responsabilità, la partecipazione alla relazioni diplomatiche etc.

Riservando al seguito i trattati della Comunità, osserviamo che le Comunità esercitano il loro diritto di relazione ricevendo circa 120 delegazioni di paesi terzi.

L’art. 17 del Protocollo sui privilegi e sulle immunità della Comunità europea, firmato a Bruxelles l’8 aprile 1965 dispone: «Lo Stato membro sul cui territorio è situata la sede della Comunità, riconosce alle missioni dei Paesi terzi accreditati presso le Comunità le immunità e i privilegi diplomatici d’uso». Le credenziali vengono presentate sia al Presidente della Commissione che al Presidente in carica del Consiglio.

La Comunità in quanto tale non ha invece vere e proprie rappresentanze diplomatiche all’estero. Ciò corrisponde alla prassi attuale codificata dalla Convenzione di Vienna del 14 marzo 1975 sulla rappresentanza degli Stati nelle loro relazioni con le organizzazioni internazionali, che non riconosce a queste ultime il diritto di esercitare la propria missione presso gli Stati. Le numerose delegazioni accreditate dalla Commissione all’estero costituiscono la proiezione sul piano esterno dei poteri della Commissione in quanto organo di negoziato e di esecuzione. D’altronde, la Commissione non dispone dell’esclusività della rappresentanza delle Comunità essendovi anche un’attività internazionale della Presidenza del Consiglio e del Parlamento europeo.

È indiscutibile comunque che negli ultimi anni – soprattutto da quando l’Unione sovietica e gli altri paesi socialisti hanno desistito dal loro atteggiamento dichiaratamente contrario – nella comunità internazionale è prevalso un atteggiamento favorevole a riconoscere la personalità della Comunità europea (spesso indistinta rispetto a quella della CECA, mentre l’Euratom pare tagliata fuori dalla vita di relazione internazionale).

La personalità internazionale della Comunità non si manifesta soltanto sul piano contrattuale mediante la conclusione di accordi, ma anche mediante una serie di altri atti che appartengono al diritto internazionale pubblico, come proteste, prese di posizione in relazione ad atti di indiscutibile significato internazionalistico etc. (la competenza ad emanare atti del genere è passata ora all’Unione europea).

Uno degli esempi più significativi di questo tipo di attività sono le indagini nel campo della concorrenza riguardanti le imprese stabilite fuori della Comunità. Dette indagini implicano l’esercizio dell’autorità della Comunità nei confronti di esse. Vi è da ricordare che ancor prima che venisse creata l’Unione europea, la Comunità ha protestato contro l’embargo nei confronti della costruzione del gasdotto siberiano, ha rifiutato il riconoscimento della Repubblica turca di Cipro, ha fissato i criteri per il riconoscimento degli Stati «successori» dell’Unione sovietica.

La messa in opera del diritto comunitario della concorrenza nei confronti di imprese estranee alla Comunità ha creato qualche problema. Nella sentenza Ahlström (CGCE 27-IX-1988, cause riunite 89,104,114,116,117,125-129/85, in Raccolta, 1988, p. 5193 v. anche sopra, p. 222) alcune imprese finlandesi, americane e canadesi argomentarono che le sanzioni ad esse inflitte per violazioni del diritto comunitario della concorrenza offendevano il diritto internazionale pubblico a causa del fatto che la Commissione pretendeva di regolamentare dei comportamenti restrittivi della concorrenza posti in essere al di fuori del suo territorio e quindi soltanto per le ripercussioni economiche che vi avevano prodotto. La Corte sostenne che le conseguenze economiche di detti comportamenti all’interno del mercato comune giustificavano l’applicazione del diritto comunitario e che il diritto della Comunità di applicare le sue regole di concorrenza riguardo a tali comportamenti era giustificato dal principio di territorialità (cioè per le conseguenze che producevano nel “territorio” della Comunità) come universalmente riconosciuto nel diritto internazionale pubblico. La Corte respinge ugualmente l’argomento delle imprese americane che invocavano un principio di diritto internazionale detto di non-intervento e quello delle imprese canadesi che facevano valere la violazione del principio della comitas gentium: entrambi avrebbero escluso l’applicazione nel caso del diritto comunitario della concorrenza. La decisione della Commissione, essa rileva, non era «in contrasto né con l’art. 85 del Trattato, né con le norme di diritto internazionale pubblico invocate dalle ricorrenti».

In tema di responsabilità extracontrattuale vi è la norma dell’art. 215 (ora 288), 2o comma, la quale peraltro esplica i propri effetti soltanto nell’ambito dell’ordinamento comunitario.

In materia di responsabilità extracontrattuale, la Comunità deve risarcire, conformemente ai principi generali comuni ai diritti degli Stati membri, i danni cagionati dalle sue istituzioni o dai suoi agenti nell’esercizio delle loro funzioni.

Nelle relazioni giuridiche di diritto interno – dove la personalità della Comunità è riconosciuta espressamente dai trattati – l’organo che agisce per la Comunità è la Commissione.

La personalità giuridica nel diritto interno degli Stati è riconosciuta anche alla Banca europea per gli investimenti (art. 28 Protocollo statuto), alla Banca centrale europea (art. 9, 1, Statuto), all’Agenzia (di approvvigionamento) dell’Euratom (art. 94).

Per quanto riguarda l’Unione europea, vi è da rilevare che le norme relative alla partecipazione al sistema delle relazioni internazionali hanno un tenore alquanto generico e implicano il mantenimento delle Comunità europee, modificate dal Trattato di Maastricht, con le loro competenze internazionali e con la loro personalità giuridica. Ciò emerge anche dall’originale struttura predisposta per l’Unione europea fondata su pilastri distinti anche se collegati tra di loro.

Nella decisione con la quale il Consiglio ha deciso di assumere la nuova denominazione di «Consiglio dell’Unione europea» è stata messa a verbale la seguente dichiarazione: «Questo cambiamento non modifica in alcun modo l’attuale situazione giuridica, in base alla quale l’Unione non ha personalità giuridica internazionale …» (GUCE L 281/18 del 16-XI-1993).

Con la Convenzione / Costituzione la questione si modificherà in maniera radicale perché è prevista la personalità dell’Unione e l’assorbimento in essa della CE e dell’Euratom (la CECA è già scomparsa).

Il modo concreto in cui le Comunità (o, s e si vuole, l’Unione europea) interagisce con le norme del diritto internazionale pubblico verrà studiato nell’ambito dell’esposizione dedicata all’ordinamento comunitario.

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