Il servizio militare costituisce l’ipotesi paradigmatica di impossibilità della prestazione lavorativa, determinata dall’adempimento del dovere prevalente di difesa della Nazione (art. 52 Cost.). Sebbene la legislazione corrispondente garantisca, in primis, il diritto del lavoratore in servizio militare alla conservazione del posto, come precisato dalla Corte costituzionale il concetto di posizione di lavoro non deve essere considerato equivalente a quello di posto di lavoro . Esso, al contrario, è un concetto ampio, che comprende senza dubbio anche il diritto all’indennità di anzianità.

La normativa in esame è sempre stata dettata da leggi speciali:

  • la l. n. 653 del 1940, prevista in origine per gli impiegati ma poi estesa al personale con qualifica operaia da una sentenza della Corte costituzionale.
  • la l. n. 370 del 1955 (oltre all’art. 2111 co. 2) sul richiamo delle armi.
  • il d.C.p.S. n. 303 del 1956 sul servizio di leva, il cui co. 1, ponendo il principio della sospensione del rapporto anche nei confronti dei lavoratori chiamati ad adempiere il servizio di leva, aveva implicitamente abrogato l’art. 2111 co. 1, che aveva previsto, viceversa, l’opposta regola della risoluzione del contratto di lavoro.

Tale normativo è stata successivamente estesa agli obiettori di coscienza, che svolgevano servizio sostitutivo civile ed a coloro che si dedicavano al servizio di volontariato civile.

Lo scenario, chiaramente, è mutato a seguito della sospensione (abolizione) del servizio di leva, in forza della l. n. 226 del 2004. L’unica ipotesi attuale, quindi, è quella del richiamo alle armi, che comprende tutte quelle forme di diversa imposizione del servizio militare.

Il lavoratore richiamato alle armi ha diritto alla conservazione del posto per tutta la durata del rapporto di lavoro, diritto questo che comprende sia il diritto di assentarsi legittimamente dal lavoro in presenza di tali eventi, sia quello di non essere sottoposto a licenziamento durante tali periodi (l. n. 653 del 1940 e l. n. 370 del 1955). Come nelle altre situazioni sospensive, comunque, il divieto di licenziamento soffre di eccezioni:

  • la commissione da parte del lavoratore di un fatto costituente giusta causa di recesso.
  • la cessazione completa dell’attività dell’azienda.
  • la chiusura per fallimento, salvo che vi sia continuazione dell’attività di impresa.

In ordine alle tecniche sanzionatorie che garantiscono l’effettività del regime di conservazione del posto, si ritiene passibile:

  • di nullità il licenziamento motivato dal servizio militare.
  • di inefficacia temporanea il licenziamento determinato da altri motivi, ma intimato durante il periodo vietato.

Il trattamento economico previsto, pari all’intera retribuzione per i primi due mesi, e alla differenza fra il trattamento erogato dall’amministrazione militare e la retribuzione precedentemente goduta per il restante periodo, è a carico di un’apposita Cassa.

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