Ulteriori garanzie della libertà sindacale sono rinvenibili nella legislazione ordinaria, e in particolare nello Statuto dei lavoratori (l. n. 300 del 1970), una delle cui finalità, appunto, è istituire le condizioni normative affinché la libertà sindacale possa esercitarsi pienamente nei luoghi di lavoro (Titolo II intitolato <<della libertà sindacale>>):

  • l’art. 14, costituendo di fatto in una ripetizione del principio di cui all’art. 39 co. 1, dispone il <<diritto di costruire associazioni sindacali, di aderirvi e di svolgere attività sindacale>>.
  • l’art. 15 stabilisce una prescrizione che ha ormai un raggio d’azione assai maggiore rispetto alla materia sindacale (co. 4). Tale articolo, in particolare, dispone la nullità di qualsiasi patto o atto diretto a:
    • subordinare l’occupazione di un lavoratore alla condizione che aderisca o non aderisca ad un’associazione sindacale ovvero cessi di farne parte.
    • licenziare un lavoratore, discriminandolo nell’assegnazione di qualifiche o mansioni, nei trasferimenti, nei provvedimenti disciplinari, o recargli altrimenti pregiudizio a causa della sua affiliazione o attività sindacale ovvero delle sua partecipazione ad uno sciopero.

Tale divieto punta a reprimere un nucleo ristretto di diversificazioni di trattamento, ovvero quelle aventi una finalità antisindacale. Gli atti discriminatori rilevanti, comunque, non devono essere necessariamente anche formali, cosa che si deduce dalla formula residuale dell’art. 15 <<recargli altrimenti pregiudizio>>, la quale non pone limiti precostituiti alla gamma dei fatti che possono ricadere nel suo ambito di applicazione.

L’onere della prova in giudizio circa il carattere discriminatorio dell’atto ricade, di massima, in applicazione all’art. 2697 c.c., sulla parte che afferma tale carattere, ossia il lavoratore. Data la difficoltà che questo incontra a far emergere sul terreno istruttorio-processuale una finalità che, di base, non viene esternata dall’imprenditore, la valutazione del giudice dovrà basarsi sulla valutazione di un materiale di tipo fondamentalmente indiziario. La sanzione prevista, una volta che la discriminazione sia stata accertata, consiste nella radicale nullità, tanto dell’atto quanto dell’eventuale patto discriminatorio.

  • l’art. 16 vieta di adottare trattamenti economici collettivi discriminatori, tali da privilegiare alcuni lavoratori per il fatto di non aver preso parte ad una certa attività sindacale.
  • l’art. 17 sancisce il divieto dei sindacati <<di comodo>>, i quali verrebbero ad alterare la genuinità delle relazioni sindacali. Qualora tale disposizione venga violata, il sindacato stesso e le attività da esso poste in essere debbono ritenersi giuridicamente <<inesistenti>>.

Non si deve tuttavia confondere la situazioni proibita con quella di un sindacato che abbia una posizione non antagonistica, ma collaborativa nei confronti della controparte imprenditoriale.

  • l’art. 28 prevede uno speciale procedimento giudiziario d’urgenza per la repressione dei comportamenti antisindacali, ossia lesivi della libertà ed attività sindacale, nonché del diritto di sciopero, posti in essere datore di lavoro.
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