La disciplina del lavoro straordinario risente fortemente del mutamento del quadro normativo delineato per con riferimento al lavoro ordinario. A tale riguardo, comunque, l’art. 13 della l. n. 196 del 1997 aveva già introdotto una rilevante novità, dal momento che l’abbassamento a quaranta ore dell’orario normale di lavoro si era ovviamente ripercosso anche sul concetto di lavoro straordinario, occasionando, a sua volta la riforma recata dalla l. n. 409 del 1998.

Il lavoro straordinario è il lavoro che eccede l’orario normale settimanale di lavoro (quaranta ore). Da tale nozione, tuttavia, discendono pochi effetti giuridici, dal momento che il lavoro straordinario non comporta più l’automatico diritto ad una maggiorazione minima (r.d.l. n. 692 del 1923). Attualmente, infatti, la legge (art. 5 co. 5) detta unicamente il principio per cui <<il lavoro straordinario deve essere computato a parte e compensato con le maggiorazioni retribuite previste dai contratti collettivi di lavoro>>. I contratti alternativi possono altresì consentire che, in alternativa o in aggiunta alle maggiorazioni retributive, i lavoratori usufruiscano di riposi compensativi (c.d. banca delle ore).

Il ricorso all’istituto del lavoro straordinario, tuttavia, deve sottostare ad alcuni limiti:

  • il ricorso a prestazioni di lavoro straordinario deve essere contenuto (art. 5 co. 1).
  • il ricorso al lavoro straordinario è ammesso soltanto previo accordo tra datore di lavoro e lavoratore per un periodo che non superi le duecentocinquanta ore annuali (art. 5 co. 3).

Entrambi i limiti hanno comunque una portata relativa potendo essere derogati, anche in peius, dai contratti collettivi.

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