Le crisi aziendali hanno molti possibili sviluppi, ma quasi sempre, come inevitabile implicazione, emerge un problema di eccedenza di personale, da cui segue che, per uscire dalla condizione di difficoltà, l’impresa reputi di avere bisogno di ridimensionarsi e di ridurre i livelli. In questo complesso contesto, l’ordinamento si è preoccupato di predisporre strumenti rivolti:

  • a consentire all’impresa di liberarsi del personale che non è più in grado di sostenere.
  • a garantire la più efficace tutela possibile degli interessi dei lavoratori il cui posto viene messo in pericolo.

Trattasi di strumenti giuridici diversi, finalizzati:

  • a consentire un riassorbimento delle eccedenze, senza risoluzione dei rapporti di lavoro (cassa integrazione guadagni/ contratti di solidarietà difensivi).
  • a gestire una risoluzione indolore dei rapporti di lavoro a rischio (dimissioni dei lavoratori o risoluzioni consensuali incentivate).
  • a determinare una risoluzione unilaterale dei predetti rapporti di lavoro (licenziamento collettivo), con le correlate misure di accompagnamento sociale.

Attorno a questi strumenti si giocano complesse partite, anzitutto tra l’imprenditore e le organizzazioni sindacali, legittimate a vario titolo ad intervenire nella crisi per cercare di impedire le riduzioni di personale o, comunque, di attenuarne l’impatto. Tale partita, tuttavia, non è comprensibile senza tenere conto del ruolo del terzo giocatore, lo Stato, che interviene a finanziare gli ammortizzatori sociali, garantendo così le risorse di sostegno necessarie a ridurre le conseguenze sociali delle ristrutturazioni.

Oltre all’ipotesi presa in analisi, comunque, occorre tener presente anche l’evenienza che la crisi precipiti in un irreparabile stato di insolvenza, che determina l’ingresso dell’impresa in una delle procedure concorsuali previste dall’ordinamento e finalizzate alla liquidazione dell’attivo residuo a fini di soddisfacimento dei creditori rimasti insoddisfatti (es. lavoratori dipendenti).

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