Molto dibattuta è la questione se sia possibile svolgere in forma societaria un’attività professionale. L’assenza di ostacoli teorici all’ammissibilità di società fra professionisti è stata confermata anche dalla l. n. 1815 del 1939. L’art. 2 di tale legge tuttavia, limitava massicciamente il ricorso allo schema societario, portando a pensare che per le professioni protette l’unico schema disponibile fosse quello della società semplice. L’articolo in questione, tuttavia, è stato abrogato dalla l. n. 266 del 1997, la quale ha demandato ad un regolamento (mai emanato) di fissare i requisiti per l’esercizio dell’attività di cui all’art. 1 della l. n. 1815 del 1939 .

Successivamente, nel dare attuazione ad una direttiva comunitaria del 1998, il d.lgs. n. 96 del 2001 ha colto l’occasione per disciplinare le società di avvocati, la cui disciplina, tuttavia, non ha incontrato il favore dei rispettivi professionisti, soprattutto perché, mancando una disciplina fiscale ad hoc, non è facile organizzare in forma d’impresa questo genere di attività, redigendo un bilancio in cui tra l’altro portare anche i crediti non ancora maturati per cause pendenti negli anni.

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