La condizione – stando alla definizione dettata dall’articolo 1353 cod. civ. – è “L’avvenimento futuro ed incerto” al quale le parti intendono subordinare l’efficacia o la risoluzione del contratto o di una singola pattuizione negoziale.

La condizione è un tipico elemento accidentale del contratto, nel senso che può essere presente o meno all’interno del regolamento contrattuale, senza che da ciò derivino conseguenze in ordine alla validità dello stesso.

Una fondamentale distinzione è posta direttamente dal dettato legislativo fra:

a) Condizione sospensiva: la condizione è sospensiva se gli effetti del contratto non si verificheranno che all’avverarsi della condizione. Prima del suo avverarsi, le parti non sono tenute alla realizzazione del programma contrattuale, tuttavia esse rimangono assoggettate al rapporto contrattuale e, in virtù del principio dell’esecuzione secondo buona fede [di cui all’art. 1375 cod. civ.] e del divieto di impedirne l’avveramento [ ex art. 1359 cod. civ.], sono comunque tenute alla salvaguardia-nei limiti dell’apprezzabile sacrificio- dell’interesse della controparte. Le parti possono sciogliersi dal vincolo contrattuale solo nei modi ordinari di scioglimento del contratto. Dalla condizione sospensiva dipende, dunque, l’efficacia iniziale dell’atto.

b) Condizione risolutiva: è la condizione alla quale viene subordinata la risoluzione (e pertanto l’efficacia finale) del contratto. La condizione è risolutiva se gli effetti del contratto si verificheranno subito ma cesseranno all’eventuale verificarsi della condizione. A differenza del caso precedente, qui il contratto è immediatamente produttivo di effetti, salva la possibilità che detta efficacia venga meno ex tunc qualora si realizzi l’evento dedotto in condizione.

Il carattere sospensivo o risolutivo della condizione deve risultare dall’interpretazione del contratto.

A seconda, poi, se posta dalle parti o prevista autoritativamente dalla legge, la condizione può essere:

a) Volontaria: in tal caso si tratta di una tipica espressione dell’autonomia negoziale, e può essere voluta dalle parti, sia in modo diretto e immediato a mezzo di una specifica statuizione, sia in modo indiretto per mezzo del richiamo operato ex art. 1340 cod. civ. agli usi negoziali. Essa è tradizionalmente indicata come elemento accidentale del contratto, in quanto non rientra tra i suoi elementi costitutivi. Il contratto sottoposto a condizione è, pertanto, un contratto perfetto e cioè completo di tutti i suoi elementi costitutivi, mentre la condizione di incidere sull’efficacia.

N.B. La condizione volontaria, infine, si distingue dalla presupposizione (teorizzata dalla dottrina tedesca) la quale costituisce una condizione implicita del contratto, in quanto, pur non essendo espressa sotto forma di clausola accessoria incidere su gli effetti di esso. Difatti, la presupposizione è una situazione di fatto indipendente dalla volontà dei contraenti, che senza essere espressamente menzionata, rappresenta il presupposto oggettivo del contratto. L’esempio tradizionale è di chi prende in allocazione un balcone che dà sulla strada dove si svolgerà una manifestazione allo scopo di assistervi: il contratto trova il suo evidente presupposto nel fatto della manifestazione, anche se ciò non risulta espressamente dal suo contenuto. La dottrina tradizionale negava la rilevanza giuridica della presupposizione considerandola come una condizione non sviluppata.

b) Legale (condicio iuris): A differenza della precedente, questo tipo di condizione non è espressione di autonomia negoziale in quanto imposta forzosamente da una norma di legge e, dunque, contenuta in una disciplina eteronoma rispetto all’autoregolamento dei privati. Per tale ragione la condizione legale non è un elemento accidentale nel negozio, ma un requisito necessario di efficacia del contratto, con la conseguenza che la sua mancanza comporta la risoluzione del contratto. Condizione legale è ad esempio, la licenza di importazione ed esportazione. Per la dottrina prevalente, la condizione legale, al contrario di quella volontaria, non produce al suo verificarsi effetti retroattivi. Tale opinione appare ingiustificata dovendosi, piuttosto, accertare, di volta in volta, se l’effetto retroattivo contrasti con la natura del rapporto. Se la parte controinteressata impedisce l’avverarsi della condizione, il contratto diviene ugualmente efficace e la mancanza del requisito legale si converte in impossibilità dell’adempimento imputabile alla parte, con conseguente applicabilità del rimedio della risoluzione giudiziale e del risarcimento del danno. In linea di massima la disciplina dettata per la condizione volontaria risulta applicabile a una condizione legale, salve le deroghe appropriate.

Ambito di applicazione della condizione

Generalmente, la condizione può essere apposta a qualsivoglia contratto, sia esso ad effetti reali o ad effetti obbligatori. L’apponibilità di condizioni è, invece, esclusa dalla legge per determinati negozi e che per loro natura non tollerano la condizione; ciò avviene ad esempio nel caso di accettazione e rinunzia all’eredità, nel caso del matrimonio, il riconoscimento del figlio naturale ecc….

La reazione della legge, nel caso in cui la condizione venga inserita contro il divieto, non è uniforme. In taluni casi produce la nullità dell’intero negozio, in altri casi, invece, la condizione si considera come non apposta

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