L’orientamento dottrinario su esposto però, non può essere condiviso sulla base di varie considerazioni. La risoluzione del contratto è un rimedio la cui attuazione è rimessa alla libera scelta del contraente non inadempiente che può preferire scambiare il proprio diritto ad ottenere il credito derivante dal contratto. che sia rimasto insoddisfatto, con la liberazione dall’obbligo corrispettivo, piuttosto che ottenere l’adempimen­to coattivo dello stesso. Né vale affermare che la scelta del risolvente non sarebbe libera in quanto determinata dall’ina­dempimento dell’altro contraente, in quanto lo stesso inadem­pimento può determinare invece l’esercizio dell’azione di adempimento coattivo.

La scelta della parte non inadempiente trova il suo fonda­mento nella valutazione. in termini di convenienza, che questi fa della situazione concreta e che è pertanto rimessa alla sfera della sua volontà. Né devono considerarsi accoglibili le critiche secondo le quali la scelta del contraente non inadempiente non sarebbe più libera nel caso di impossibilità sopravvenuta della prestazione per causa imputabile al debitore, in quanto egli potrebbe comunque avere interesse ad adempiere la propria obbligazione, ad esempio per un semplice ritorno di immagine, oppure per ottenere la prestazione risarcitoria derivante dal­l’inadempimento definitivo della controparte.

Dalle considerazioni su esposte deve dedursi che non può farsi derivare sempre e sistematicamente dalla risoluzione del contratto per inadempimento un danno imputabile al contra­ente inadempiente.

In conclusione, pertanto, può affermarsi che il diritto della parte non inadempiente ad ottenere un assetto economico equivalente a quello che avrebbe conseguito dal contratto risolto, se invece fosse stato correttamente adempiuto, possa ritenersi soddisfatto dall’attuazione dello scambio conseguente alla risoluzione, e cioè dallo scambio tra l’ottenimento della prestazione originariamente dedotta in contratto e la liberazio­ne dall’obbligo corrispettivo.

A tale affermazione può obiettarsi che nel nostro ordina­mento, in base a quanto disposto dall’art. 1453 c.c., il legislatore abbia voluto riconoscere il risarcimento dei danni alla parte non inadempiente, sempre e comunque anche nell’ipotesi di riso­luzione del contratto. E del resto ci sono anche altre norme, come l’art. 1518 c.c., che fanno espresso riferimento alla risarcibilità dei danni che siano derivati alla parte non inadem­piente che abbia scelto di risolvere il contratto. Tale norma, però, non deve ritenersi che fissi il principio generale del riconoscimento sistematico dei danno al risolvente, quanto, piuttosto, che faccia riferimento ai danni effettivamente subiti nella situazione concreta.

Anche qui, pertanto, il risarcimento riguarderà non la differenza di valore tra prestazione e controprestazione, e né, tantomeno, il danno derivante dalla mancata utilizzazione diretta della prestazione rimasta inadempiuta, ma piuttosto il danno che residui dal mancato soddisfacimento del diritto creditorio conseguente alla scelta della risoluzione

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