Anche alla valutazione economica della prestazione è stata attribuita la funzione di contribuire all’individuazione dei confini del rapporto giuridico.Anche i doveri non giuridici possono consistere in un comportamento suscettibile di valutazione economica, la dove tale carattere è parso indeclinabile per poter classificare un dovere come obbligazione in senso tecnico e applicare la relativa disciplina.E’ intuibile che la nozione di patrimonialità della prestazione sia destinata a dividere gli interpreti. A coloro che considerano decisivo il punto di vista delle parti si contrappongono coloro che rinviano a un criterio oggettivo conforme alle comuni valutazioni dell’ambiente sociale.

La seconda è forse l’opinione prevalente:ha carattere patrimoniale la prestazione che già si pone, secondo la formula del codice, come suscettibile di valutazione economica, non già quella che a una tale valutazione sia stata di fatto sottoposta dagli interessati, in virtù di scelta del tutto priva di riscontri apprezzabili socialmente e quindi giuridicamente. Nelle rare decisioni dei giudici sembra predominante il riferimento alla corrente di pensiero per cui ha valore patrimoniale anche la prestazione che lo riceva dalla natura della controprestazione ovvero dalla valutazione fatta dalle parti, come nel caso in cui si conviene la clausola penale.

Una tale interpretazione si discosta in maniera palese dalla corrente di pensiero che, all’epoca del codice del 1865 e nel difetto di regole espresse sulla patrimonialità della prestazione, aveva fatto riferimento alla nozione di commerciabilità delle cose che sono oggetto di contratto. Le critiche rivolte a quell’opinione sono convincenti: i limiti alla libertà contrattuale delle parti restano distinti dai requisiti giuridici della prestazione; non possono identificarsi le cose che formano oggetto del contratto e i comportamenti rilevanti ai fini dell’esecuzione del rapporto.La patrimonialità non è la conseguenza della semplice previsione isolata di un corrispettivo o di una sanzione in denaro così come è assai dubbio che la prestazione di un mercato del tutto anomalo o perfino clandestino renda patrimoniale una prestazione:in se e nella sua misura.

Il fenomeno da valutare è di natura economica, ma immediatamente evoca un giudizio di valore in termini anche giuridici. Se sono pattuiti corrispettivi con riferimento a prestazioni che si reputano sottratte a vincoli di natura obbligatoria si suole affermare che nell’ordinamento ancora non si concepisce la possibilità di attribuire natura patrimoniale a tali comportamenti.Il metodo più lineare per individuare il carattere della patrimonialità è quello che la fa coincidere con la negoziabilità.

A fini normativi o precettivi l’unico criterio rilevante si risolverebbe nel sottolineare che la prestazione non è tale se non è negoziabile:l’art. 1174, secondo questa controversa lettura, è, ancora una volta, una delle norme che contribuiscono a definire le stesse linee essenziali delle nozioni di contratto e di libertà contrattuale, in quella incerta zona che è posta al confine tra la valutazione di liceità e la valutazione di rilevanza giuridica del rapporto.E’ palese che il metro di valutazione di giudizio è soggetto a mutare nel contesto delle trasformazioni dell’ordinamento.

I giuristi prendono atto che nel linguaggio del legislatore e dei giudici non è raro il riferimento all’interesse del debitore. Non può parlarsi di interesse del debitore ma di interessi di costui; e si deve mettere ordine nei significati delle singole formule. Nell’accezione iniziale soprattutto giudiziale si menziona l’interesse del debitore con riguardo all’assunzione dell’obbligo soprattutto nei casi in cui il rapporto sia gratuito.Anche nel linguaggio legislativo l’interesse è contemplato con riguardo alla fase in cui l’obbligazione è contratta .

Esemplare è la distinzione tra i casi in cui l’obbligazione è contratta nell’interesse esclusivo di un altro debitore o nell’interesse di più coobbligati. L’aspetto esterno dell’interesse del debitore risulta non meno evidente anche nei casi in cui l’interesse sia riferito alla fase di adempimento dell’obbligazione, ma rilevi in funzione della coincidenza di interessi con la posizione di un altro debitore. E’ ancora l’esempio del fideiussore che ha interesse di soddisfarlo, come dice la legge, per potersi surrogare nei diritti che il creditore vanta nei confronti del debitore principale.

L’argomento degli interessi del debitore ha diversa consistenza quando sia considerato all’interno del rapporto già costituito e nel quadro delle vicende dell’obbligazione, con particolare riferimento alle ragioni del comportamento che il creditore abbia ad assumere nei suoi confronti.Il debitore non potrà rifiutare senza giusto motivo di ricevere la prestazione o di compiere gli atti necessari affinché il debitore possa adempiere. La valutazione del motivo legittimo che giustifica il rifiuto del creditore chiama in gioco il principio della correttezza del creditore, quale canone che consente di dar rilievo anche agli interessi del debitore meritevoli di tutela.

Il codice civile tutela in ogni modo le ragioni morali del debitore che si opponga ad una liberazione ottenuta per via diversa dall’adempimento. La varietà delle ipotesi ricomprese nella formula degli interessi del debitore rende labili tutti i tentativi di qualificare dogmaticamente il fenomeno in materia unitaria. E nella nostra letteratura è ancora diffusa una presa di posizione negativa diretta ad escludere che agli interessi del debitore corrispondano altrettanti obblighi del creditore. Le posizioni reciproche del creditore e del debitore hanno un immediato rilievo, sia perché sono riferibili a due sfere patrimoniali tra di loro distinte (quali poste attive o passive), sia per il fatto che possono essere studiate in maniera analitica con riguardo a quella fase del rapporto che è stata denominata nel suo insieme dell’attuazione.

Il rilievo autonomo del credito come posta attiva del patrimonio di un soggetto ha trovato riconoscimento anche da parte della giurisprudenza,con le decisioni che, nel caso della lesione del credito da parte di terzi hanno considerato risarcibile il danno se la prestazione perduta a causa dell’altrui comportamento illecito non sia sostituibile ovvero comunque arrechi al creditore un pregiudizio ineliminabile. La pretesa del creditore danneggiato da un soggetto estraneo al rapporto con il debitore fu a lungo esclusa in forza dell’opinione per cui soltanto i diritti di carattere assoluto, caratterizzati dal dovere di astensione da parte di tutti i consociati, fossero tutelati con l’azione di danno illecito civile extracontrattuale(2043).

Da ancor più antica data ha avuto applicazioni nel sistema il rilievo autonomo dell’obbligo quale posta passiva del patrimonio di un soggetto. Esemplare è il caso in cui il terzo liberi il debitore soddisfacendo il credito altrui. Dal patrimonio del debitore è sottratta una “voce” passiva: si dice che il debitore risparmia una spesa necessaria. Di un tale “arricchimento”, qualora non sia giustificato nei confronti del terzo che ha soddisfatto il credito altrui, si può pretendere il rimborso in base alla norma generale dell’art. 2041.

L’attuazione del rapporto obbligatorio deve essere considerato sia con riguardo al comportamento del creditore, quale si manifesta per il tramite della richiesta di adempimento e del ricevimento della prestazione, sia con riguardo al comportamento del debitore, quale si manifesta per il tramite dell’adempimento o dell’inadempimento. Diversi sono i profili relativi alla tutela rispetto al credito e alla responsabilità rispetto al debito; ossia alla possibilità di agire in giudizio per:

1)pretendere l’adempimento e conseguire il bene dovuto;

2)far rispettare l’obbligo connesso o sostitutivo di risarcire i danni (resp. personale o contrattuale1218);

3)rivalersi se necessario sul patrimonio altrui (resp. patrimoniale2740).

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