Sulla base dell’assunto che l’ingiustizia del danno evidenzia la sede di un conflitto di interessi, ma non dice quale debba essere la soluzione, Francesco Donato Busnelli ed Emanuela Navarretta ritengono di trovarla adottando il modello dell’abuso del diritto.

L’ingiustizia si risolverebbe nel giudizio se l’agente abbia o meno esercitato correttamente un proprio diritto.

Questa tesi fa perno su due idee che si rivelano fuorvianti:

a. che la responsabilità civile risulti sempre da un bilanciamento di interessi che si svolgerebbe nel momento applicativo della norma legislativa;

  1. che la condotta dell’agente integri sempre l’esercizio di un diritto.

La prima idea nasce nella nostra dottrina dall’affermazione di Pietro Trimarchi secondo cui la responsabilità civile sarebbe qualificazione di un conflitto di interessi conseguente ad un giudizio di bilanciamento degli stessi.

Come tale, l’affermazione non è né da approvare, né da respingere.

Il bilanciamento è il presupposto di ogni regola giuridica, non solo di quella di responsabilità; si tratta di stabilire da chi e in che modo esso debba esser fatto, se cioè dalla legge o dal giudice.

{Secondo la formulazione di Pietro Trimarchi l’ingiustizia è una clausola generale}.

Dire che l’ingiustizia è clausola generale significa affermare che ogni giudizio di responsabilità, nel quale secondo il disposto del 2043 si pone necessariamente la questione se il danno sia o no ingiusto, implichi per questo profilo una valutazione concretizzante del giudice.

Ma se si affronta la questione in termini analitici, ci si avvede che non è così.

Si prospettano quattro ipotesi alternative, ottenute combinando titolarità o meno di una situazione soggettiva in capo all’agente ed in capo al danneggiato.

Nella prima ipotesi il conflitto riguarda una condotta che non si configura come esercizio di un diritto e contrasta con una situazione soggettiva altrui: in questo caso l’esito è la responsabilità, ma senza che l’interprete, per applicare la norma, debba aggiungere nulla a ciò che ha già disposto il legislatore.

Nella seconda ipotesi, costituita dalla titolarità di una situazione soggettiva in capo all’agente e dall’assenza di una situazione soggettiva in capo al danneggiato, accade formalmente la stessa cosa, ma con esito rovesciato.

Quello che dovrebbe essere il bilanciamento degli interessi ad opera del giudice al fine di risolvere il conflitto si verifica nella terza ipotesi, nella quale al diritto del danneggiato si contrappone quello dell’agente; e nella quarta, caratterizzata dall’assenza di una situazione soggettiva sia in capo all’agente, in funzione di giustificazione della condotta di questi, sia in capo al danneggiato, in grado di attestare su di esso il diritto al risarcimento del danno.

Nella terza ipotesi il conflitto si regola secondo il modello dell’esercizio del diritto, che costituisce una causa di giustificazione.

La causa di giustificazione, però, non sarà più tale quando al posto dell’esercizio si accerti l’abuso del diritto.

L’abuso del dritto, secondo la Commissione italo-francese, ricorre quando l’esercizio non sia funzionale all’interesse del titolare, ma solo cagioni danno a colui nei confronti del quale si verifichi.

{L’accoglimento dell’abuso del diritto come formula generale sottende il superamento della limitazione di esso al diritto di proprietà sotto l’aspetto del divieto di atti emulativi, decisa dal legislatore con l’adozione dell’833 (“Atti d’emulazione”).

L’abuso del diritto è previsto dal § 226 del BGB, è da almeno un secolo frutto stabile del diritto giurisprudenziale francese e, quanto al diritto italiano, Francesco Donato Busnelli ed Emanuela Navarretta lo suppongono accreditato nel nostro ordinamento nel momento in cui lo propongono come modello di soluzione dell’ingiustizia del danno}.

È solo in questa ipotesi che l’abuso del diritto viene in considerazione come criterio di soluzione del conflitto, peraltro in maniera sempre aliena da una valutazione del giudice.

Nella quarta ipotesi il danno, non qualificato dalla lesione di una situazione soggettiva, diventa risarcibile di riflesso da una qualificazione della condotta o di uno status dell’agente, reso rilevante a tal fine dalla legge, come accade nella concorrenza sleale (2598: Atti di concorrenza sleale).

Ma si tratta di fattispecie legali tipiche, che per definizione escludono un apporto valutativo del giudice.

Sono fattispecie di danno meramente patrimoniale eccezionalmente risarcibile in via extracontrattuale.

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