Nel panorama degli ordinamenti europei il danno biologico costituisce la categoria dalla quale ha preso avvio la riformulazione del danno non patrimoniale a cominciare dall’ultimo quarto del secolo scorso.

Avendo messo al centro del danno non patrimoniale direttamente la persona quale valore fondamentale da tutelare anche sul terreno aquiliano, esso ha innescato una sorta di effetto a cascata sugli altri diritti che, analogamente al diritto alla salute, fanno capo alla persona.

Sarebbe questo il modello dal quale sviluppare in termini moderni la questione del danno alla persona.

Sennonché l’occasione non sembra per nulla colta.

Da un lato, infatti, il risarcimento del danno alla persona viene limitato alle perdite patrimoniali e quello che trascende queste ultime viene messo fuori quadro sotto l’etichetta “danno morale” o “non patrimoniale”, rimesso alle opzioni degli ordinamenti nazionali (per es. la dir. CEE 374/1985 sul danno da prodotti ha lasciato impregiudicate le disposizioni nazionali relative ai danni morali).

Negli altri ordinamenti tra danno patrimoniale e danno morale non è nota una voce autonoma corrispondente al nostro danno biologico o, più in generale, al danno alla persona.

Ne emerge una disciplina del tutto disparata della lesione della persona nei vari ordinamenti.

Il legislatore tedesco non ha seguito la tendenza italiana di rendere il danno alla persona categoria autonoma ed omnicomprensiva del danno non patrimoniale.

Vi hanno provveduto invece i Principi di diritto europeo elaborati dal Gruppo di studio del codice civile europeo nel capitolo dedicato alla responsabilità extracontrattuale, in tre articoli, dedicati all’offesa alla persona, al danno non patrimoniale subìto da terzi particolarmente vicini alla vittima dell’offesa, alla lesione della dignità personale, della libertà e della riservatezza.

Ciò conferma che la linea moderna di tendenza del danno non patrimoniale muove dalla persona.

Ma il duplice recente intervento del legislatore italiano in materia di danno biologico appare ancora più misero, poiché non si preoccupa di innestare questo aspetto nella tutela generale della persona.

Si tratta rispettivamente del d. lgs. 38/2000 e del 5 l. 57/2001, il primo in materia di assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, il secondo dedicato alla materia delle assicurazioni.

In ambedue queste fonti il legislatore prevede una comune definizione di danno biologico come la lesione all’integrità psicofisica della persona, suscettibile di valutazione medico-legale.

Diversi sono però i criteri di liquidazione del danno.

Il d. lgs. 38/2000 fa partire la rilevanza del medesimo da menomazioni del 6%, erogando in capitale l’indennizzo fino a menomazioni inferiori al 16%, ed in rendita quelle dal 16% in su secondo una “tabella delle menomazioni” ed una “tabella indennizzo danno biologico”.

La l. 57/2001 disciplina solo le lesioni pari od inferiori al 9%, fissando il valore-base del punto di invalidità.

Dobbiamo rilevare la difficoltà di concepire e di accettare una determinazione del danno per legge.

Peraltro, la legge introduce due criteri diversi di determinazione di un danno di identica natura, il danno biologico.

Mentre in materia di infortuni fino alla soglia del 6% il danno non viene indennizzato, nell’assicurazione della responsabilità civile il risarcimento è integrale.

Peraltro la l. 57/2001 non disciplina il risarcimento delle lesioni che superano il 9%: per esse rimane la disciplina generale della responsabilità civile e del risarcimento del danno.

Analoga conclusione deve trarsi con riguardo al danno biologico occorso in seguito ad un infortunio, ma in senso contrario: poiché il d. lgs. 38/2000 prevede l’indennizzo assicurativo per menomazioni di grado pari o superiore al 6%, restano disciplinate dal diritto comune della responsabilità civile le menomazioni di grado inferiore al 6%.

Analogamente deve dirsi del danno biologico temporaneo, che non è contemplato dal d. lgs. 38/2000, mentre lo è dalla l. 57/2001.

A giustificazione di tale diversità, si può osservare che dal punto di vista concettuale altro è l’indennizzo, altro il risarcimento; altro l’assicurazione obbligatoria contro gli infortuni, altro la responsabilità civile; che la prima non comporta integralità del ristoro, mentre così deve essere per la seconda.

Il problema però è se per rispettare la natura dell’uno e dell’altro istituto sia possibile giustificare che un danno della stessa natura sia riparato diversamente solo perché si sia verificato “in occasione di lavoro” ovvero in occasione diversa.

Sembra difficile giustificare un simile esito se ci si muove dalla prospettiva del valore persona.

Ciò sembra cozzare contro il principio generale di uguaglianza fissato al 3 Cost.

Quanto al danno biologico non verificatosi in occasione di lavoro ma in occasione di sinistri conseguenti alla circolazione dei veicoli a motore e dei natanti, al quale deve perciò applicarsi la disciplina prevista dalla l. 57/2001, la previsione del 5.4, secondo la quale fatto salvo quanto previsto dal comma 2, il danno biologico viene ulteriormente risarcito tenuto conto delle condizioni soggettive del danneggiato non esclude che il punto di invalidità possa costituire il parametro esclusivo del risarcimento pronunciato dal giudice: quest’ultimo, accertato il numero dei punti, potrebbe far solo una moltiplicazione.

In questo modo però la liquidazione del danno, da operazione tipica del giudice, chiamato a farne una “valutazione”, come si esprime la rubrica del 2056 (Valutazione dei danni), finisce con il diventare un’operazione del legislatore, il quale non si limita più ad indicare al giudice i criteri formali dell’operazione, quelli che per il danno patrimoniale sono previsti dal Codice civile agli articoli 1223 ss., ma ne indica quelli sostanziali.

E se questo esito può essere evitato, dato che a tenore del 5.4 l. 57/2001 il giudice può tenere conto delle condizioni soggettive del danneggiato, poiché si tratta di una possibilità, ne risulta confermata la sostanziale espropriazione del potere di valutazione proprio del giudice.

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